Un rapporto debito-Pil in Italia ben oltre il 150% a fine 2020: senza un intervento della Ue il nostro debito sarà presto insostenibile. La Ue può monetizzare gli extradeficit o emettere titoli di debito comuni per il mercato. Solo così si evita la catastrofe. A vantaggio di tutti. Da “Economia e Politica”.
La strada maestra per finanziare le politiche contro la crisi indotta dal coronavirus consiste nel finanziamento da parte delle banche centrali[1]. La monetizzazione dei nuovi deficit statali, infatti, permette di disporre della leva finanziaria per attivare le risorse necessarie a costo zero e senza appesantire il debito pubblico dei Paesi. Questa è la principale soluzione praticata nel mondo per fronteggiare l’emergenza, dagli USA alla Cina, dalla Gran Bretagna al Giappone. L’eurozona dovrebbe seguire il medesimo percorso, prevedendo un piano europeo anti-virus e politiche fiscali concertate tra gli Stati, adeguatamente finanziate dalla BCE[2]. Ciò potrebbe avvenire con varie modalità tecniche e soluzioni legali, anche mediante l’acquisto di titoli di debito comune (eurobond o recovery bond) da parte della BCE. D’altronde, in una fase recessiva come quella che si prospetta, non possono nemmeno essere paventati rischi inflazionistici. Una alternativa al finanziamento della BCE, ma si tratta di un second best, potrebbe essere l’emissione dei titoli di debito comune verso il mercato[3]. Questa seconda possibilità non è certo a costo zero, ma comunque permetterebbe di non contabilizzare una crescita del debito pubblico dei singoli Paesi. Al contrario, il ricorso al Fondo Salva-Stati (MES), non solo è a titolo oneroso ma soprattutto determina l’erogazione di crediti che vengono contabilizzati nel debito pubblico dei Paesi che li ricevono.
La discussione in Europa è ancora aperta sulla possibilità che vengano adottati strumenti di finanziamento comuni, che non determinino crescita del debito. Ma il tempo ha un costo molto elevato nella straordinaria crisi che stiamo vivendo e, nel caso che una soluzione all’altezza del problema non venga rapidamente trovata, i Paesi dell’eurozona con la finanza pubblica più debole, e tra questi certamente l’Italia, potranno venire a trovarsi, già nel medio termine, in una condizione di insostenibilità del debito. Con la conseguenza di essere indotti a scelte drammatiche.
La vicenda dell’Italia nell’eurozona era stata già molto difficile dopo la crisi del 2008[4]. In quella fase, sotto l’incalzare della Commissione Europea, il Paese si impegnò nel praticare austerità nella finanza pubblica, realizzando ogni anno (unico in Europa, con la eccezione del solo 2009) manovre di bilancio in avanzo primario, cioè comprimendo la spesa pubblica di scopo a valori inferiori al prelievo fiscale. Per questo, furono vistosamente tagliati tutti i capitoli del welfare (a cominciare da sanità e ricerca) e tutti gli investimenti pubblici. Un dato su tutti: l’Italia ridusse a tal punto la percentuale degli investimenti pubblici sul pil rispetto alla media europea da accumulare tra il 2008 e il 2019 un sottoinvestimento di oltre 100 miliardi[5]. Quelle politiche hanno bloccato la crescita del Paese (nel 2019 l’Italia ancora non aveva recuperato il pil del 2008) e non hanno nemmeno realizzato l’obiettivo del “risanamento” della finanza pubblica per cui erano state concepite (il rapporto debito pil ha continuato a crescere). Solo i massicci acquisti di titoli del debito pubblico sul mercato secondario da parte della BCE, dopo la svolta del 2012 voluta da Draghi, hanno evitato che la crisi del debito sovrano italiano deflagrasse.
Ma con la crisi indotta dal covid-19, in assenza di una reale soluzione europea al finanziamento degli extradeficit, l’Italia rischia di finire nel baratro. E con lei il progetto di unificazione europea.