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Verso un’alleanza economica Sud-Sud?

Cresce l’integrazione tra i paesi del Sud. Nel mondo multipolare, è una strategia con molte probabilità di successo e parecchi ostacoli davanti a sé

“…la crisi finanziaria globale ha ridotto la credibilità degli Stati Uniti, ciò che rende impossibile ai funzionari statunitensi di continuare ad andare in giro per il mondo pretendendo di arringare gli altri paesi su come essi dovrebbero gestire le loro attività economiche…” (Arthur Kroeber)

“…il largo impegno commerciale nei confronti di molti paesi africani da parte della Cina – insieme a intenzioni simili da parte di Brasile, India e Russia – ha il potenziale di trasformare il destino economico di un vasto continente (l’Africa)…” (James Kynge)

Premessa

Le note che seguono analizzano un’ipotesi che sembra prendere corpo negli ultimi tempi, quella del delinearsi di una cooperazione economica sempre più stretta tra i paesi che fanno parte del Sud del mondo; tale cooperazione potrebbe anche mirare a rendersi autonoma in misura crescente dalla dipendenza economica, finanziaria, tecnologica verso i paesi ricchi – senza mostrarsi peraltro in alcun modo ostile ad essi ed anzi continuando a mantenere importanti rapporti di scambio e di collaborazione-; essa potrebbe in qualche modo tendere a diventare con il tempo l’asse privilegiato di sviluppo dell’economia mondiale.

Le chances di successo di una tale ipotesi sono uscite rafforzate nel corso della presente crisi, che ha mostrato tutte le debolezze dell’attuale modello di sviluppo occidentale, rendendo anche meno credibili le sue ricette, sino ad oggi somministrate anche con arroganza al resto del mondo dagli organismi quali l’IMF, la WB, il WTO, nonché dai media specializzati e dagli esperti di ogni genere.

Si tratta di un’ipotesi che dovrà trovare verifiche importanti nei prossimi anni. Ad ogni modo, al centro di tale disegno si collocherebbe la Cina, ma sarebbero protagonisti della scena mondiale anche altri paesi, quali India, Brasile, forse Russia e lo stesso Giappone, che allenterebbe in qualche modo, senza stravolgerli, i suoi legami anche politici con l’Occidente. Non sono peraltro da sottovalutare i rilevanti problemi che si potrebbero presentare rispetto a tale possibile prospettiva.

Si potrebbe trattare di uno scenario almeno in parte alternativo a quello intravisto da alcuni commentatori di cose internazionali, che tendono a pensare che il terreno da gioco dell’attuale secolo sarà occupato da tre protagonisti assoluti, Stati Uniti, Cina, India.

In queste note cerchiamo di elencare almeno qualcuno dei fatti che rendono plausibile lo scenario sopra delineato, centrando la nostra attenzione, in particolare, su alcuni aspetti dell’internazionalizzazione in atto del sistema economico cinese, pur senza trascurare il punto di vista di altri paesi.

L’Africa

E’ ormai ampiamente noto l’interesse dei grandi paesi asiatici per il continente africano, dove essi stanno intrecciando rapporti d’affari e di interscambio molto diffusi.

Il recente forum di cooperazione cino-africano svoltosi in Egitto ha mostrato la cordialità di rapporti esistenti tra le due controparti. La Cina ha promesso 10 miliardi di dollari di prestiti, nonché il varo di un fondo da 1 miliardo di dollari per le piccole e medie imprese locali e si è anche impegnata ad aprire il suo mercato ad un maggior numero di prodotti africani, ad aiutare il continente a far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici, nonché ad annullare i debiti di alcuni paesi poveri. Intanto si sviluppano gli interventi cinesi nel continente nei settori dell’energia e della costruzione di infrastrutture. Accenniamo soltanto alle recenti profferte di massiccio intervento finanziario in Guinea e in Nigeria. La Cina diventerà probabilmente quest’anno il primo partner commerciale dell’Africa, sostituendosi agli Stati Uniti.

La forza dell’impegno cinese, ma anche di quello degli altri paesi del Bric nell’area può far terminare decenni di sostanziale emarginazione dell’area dall’economia del mondo (Kynge, 2009).

Citiamo brevemente il caso di uno dei paesi africani leader. La Cina è diventata nel 2009 il primo mercato di esportazione per il Sud-Africa ed anche uno stato progressivamente importante per gli investimenti esteri del paese asiatico, che toccano soprattutto il settore finanziario e quello minerario, mentre le abbastanza sviluppate infrastrutture del paese africano nel settore delle telecomunicazioni e dei trasporti ne stanno anche facendo una base logistica per le imprese cinesi che operano negli altri stati della regione. Questo avviene nell’ambito di una strategia di lungo termine del National African Congress, volta a promuovere proprio l’asse del Sud, che leghi cioè sempre più il paese con le grandi nazioni emergenti (Lapper, 2009). Sono in rilevante crescita in effetti anche i rapporti con il Brasile e l’India.

L’America Latina

La Cina è diventato nel 2009 anche il primo partner commerciale del Brasile, mentre una sua impresa petrolifera, la Sinopec e la China Development Bank hanno deciso di prestare 10 miliardi di dollari alla Petrobras per lo sviluppo dei suoi nuovi giacimenti. Intanto il paese asiatico ha offerto all’Argentina un accordo di swap valutario, che coinvolge l’uso dello yuan sino ad un valore di 10 miliardi di dollari, per il regolamento delle importazioni del paese latinoamericano. Sono, più in generale, molto numerosi gli accordi con diversi paesi del continente, che fanno pensare, come suggerisce anche The Economist (The Economist, 2009, a), che l’America Latina stia spingendosi in direzione del Sud del mondo e allontanandosi invece dagli Stati Uniti. E questo sembra avvenire lentamente, ma decisamente, senza traumi e senza troppe recriminazioni.

Comunque, non è solamente la Cina che sta sviluppando una grande attività nei confronti del continente, ma lo stanno facendo anche l’India, la Russia, l’Iran (The Economist, 2009, a). Qualcuno è così arrivato a dichiarare che la dottrina Monroe è finita. La domanda di materie prime da parte di Cina ed India ha contribuito molto alla crescita economica del continente, almeno dal 2003 in poi. I nuovi legami con i due paesi asiatici hanno anche aiutato molto l’area a superare la crisi.

Sino a questo momento la Cina ha puntato soprattutto sul commercio e gli accordi di partenariato per lo sviluppo di risorse energetiche e materie prime, mentre l’India ha mirato principalmente agli investimenti diretti in loco.

Si temeva, tra l’altro, che l’arrivo dei concorrenti asiatici avrebbe spazzato via la debole industria locale, ma in realtà si è verificato un risultato sostanzialmente contrario; l’arrivo dei due giganti asiatici ha spinto il sistema industriale del continente a cercare di ristrutturarsi verso fasce più alte del mercato. Delle difficoltà sono state registrate soltanto in qualche paese come il Messico e l’area dell’America Centrale e in qualche settore, come le scarpe e i giocattoli in Brasile.

L’Asia

Ma il terreno da gioco più rilevante appare forse quello asiatico, che in questo momento appare una vera fucina di iniziative e di idee.

Così, l’associazione dei paesi del sud-est asiatico (ASEAN) ha varato un piano per la creazione di un mercato unico che toccherà 500 milioni di persone; la sua prima tappa partirà operativamente il 1 gennaio del 2010. L’associazione ha già in ogni caso firmato degli accordi di libero scambio con la Cina e con l’India. Queste intese potrebbero essere le basi su cui costruire in futuro un blocco commerciale pan-asiatico.

Non mancano peraltro le difficoltà. Intanto i vari paesi dell’area sono in concorrenza tra di loro per la conquista dei mercati del mondo sviluppato, mentre sono anche presenti conflitti politici rilevanti tra diversi dei suoi membri; accanto alla caduta delle barriere tariffarie, bisogna considerare poi che persistono complicazioni burocratiche e barriere non tariffarie, forse ancora più importanti degli stessi vincoli tariffari; sono infine comunque esclusi dall’intesa i servizi (The Economist, 2009, b).

In un incontro dell’ottobre 2009 tra Cina, Giappone e Corea del Sud, che potrebbe essere un punto di partenza per l’avvio di una cooperazione tripartita, è stata proposta da parte giapponese la creazione di un’area di libero scambio tra i tre paesi, che miri eventualmente anche ad una possibile più larga intesa del sud-est asiatico sul modello dell’Unione Europea. In prospettiva si intravede la creazione di una moneta comune e l’aspirazione con il tempo dell’area asiatica a guidare il mondo, sempre secondo le dichiarazioni dei rappresentanti giapponesi. Non mancherebbero opinioni diverse sull’inclusione o meno dell’India e degli stessi Stati Uniti nell’intesa.

Al di là dei progetti più o meno plausibili, si registra in concreto una forte espansione dei commerci interasiatici: nel 2008 gli scambi interni all’area del sud-est asiatico sono arrivati a rappresentare il 42% di quelli totali dei paesi interessati, contro il 32% che si registrava nel 1990 (The Economist, 2009, b).

Inoltre, con la fine dell’anno, parte un fondo da 120 miliardi di dollari, denominato iniziativa di Chang mai, che, nel caso dello scoppio di nuove crisi anche locali, sarà in grado di offrire prestiti ai paesi del sud-est asiatico in difficoltà. Agli stati che fanno parte dell’Asean si sono aggiunti nell’intesa di nuovo Cina, Giappone e Corea del Sud, che metteranno a disposizione la maggior parte delle risorse (China daily, 2009). I paesi dell’area potranno, in caso di necessità, evitare così di rivolgersi al FMI, agli Stati Uniti, o all’Europa.

Intanto delle organizzazioni private coreane, cinesi e giapponesi si sono messe d’accordo per creare un’agenzia locale di credit-rating, che contribuirà a rendere anche in questa area i tre paesi autonomi dall’Occidente e a sviluppare un mercato obbligazionario asiatico, che presenta enormi possibilità di sviluppo.

Infine l’Asian Development Bank sta cercando di promuovere un fondo per lo sviluppo delle infrastrutture, carenti nell’area. Dovrebbero parteciparvi i governi nazionali, dei fondi sovrani, nonché delle banche di sviluppo ed esso servirebbe per far fronte alle grandi necessità del continente in tale settore. Il progetto risponderebbe anche, almeno in parte, alla necessità di impiegare i capitali esistenti in loco piuttosto che inviarli in Occidente (Wheatley, 2009). La Cina, nel frattempo, ha impegnato 15 miliardi di dollari nella concessione di prestiti sempre per investimenti infrastrutturali da realizzare nei paesi dell’Asean.

Un’area di possibile intervento: gli organismi internazionali

Una delle aree sulle quali si potrebbe esercitare più immediatamente un’azione abbastanza coordinata dei paesi emergenti, e che in parte sembra in atto, riguarda il futuro dei grandi organismi internazionali. Queste organizzazioni negli ultimi anni hanno perso molto della loro presa sul mondo. La Banca Mondiale ha ormai poche risorse e fa sempre più fatica a reggere la concorrenza dei numerosi fondi nazionali ed internazionali, pubblici e privati, messi in atto da tempo anche dai paesi emergenti; in ogni caso, essa stenta anche a trovare una missione di lungo termine. Ad una sorte non molto diversa sembra relegata l’OMC, bloccata tra l’altro dall’impasse del Doha Round, che vede uno scontro apparentemente senza vie d’uscita tra i paesi emergenti, guidati in questo caso dall’India, e quelli occidentali. Apparentemente sembra cavarsela meglio il FMI, che è riuscito a ottenere importanti risorse per far fronte alle emergenze finanziarie di diversi paesi colpiti dalla crisi. Ma bisogna considerare l’ostilità che, sulla base della passata esperienza, gran parte dei paesi asiatici, africani e dell’America Latina, riservano a tale istituzione e comunque le grandi difficoltà che si incontrano nel tentare di cambiarne la rappresentatività politica e il modus operandi.

In un recente incontro Brasile-Iran è stato anche posta con rilievo la richiesta di una nuova ristrutturazione dell’ONU e in particolare di una riforma sostanziale del suo Consiglio di Sicurezza.

E’ plausibile immaginare che, se i paesi emergenti non dovessero ottenere profonde modifiche nei rapporti di potere e nelle pratiche operative di tali organismi, sarebbero in grado anche in questo caso di fare da se, ciò che comunque, a nostro parere, sarebbe un problema: il mondo ha bisogno di strutture internazionali che cerchino di governare le questioni che sono per una buona parte ormai planetarie.

Conclusioni

L’ipotesi di una crescente tendenza all’integrazione economica Sud-Sud, in piena autonomia dai paesi del Nord e in presenza di un mondo sempre più multipolare dal punto di vista politico, sembra avere rilevanti spazi davanti a sé. Gli ostacoli a tale disegno appaiono comunque numerosi. Il suo successo futuro dipenderà da molte variabili, dalla capacità dei vari paesi di superare le loro gelosie e i loro conflitti politici –tipica la relazione tormentata che esiste da tempo e che sembra di recente in qualche modo complicarsi tra la Cina e l’India, o, anche quella, che sembra invece in via di attenuazione, tra la Cina e il Giappone-, dallo sviluppo della situazione interna economica, sociale, politica di molti di questi paesi, dal tipo di coinvolgimento nel progetto dei paesi più poveri, dalle possibili reazioni degli Stati Uniti a un processo che potrebbe almeno in parte emarginarli, dagli sviluppi ulteriori della crisi e delle modalità e dei tempi di una possibile fuoriuscita da essa.

La Cina, in tale visione, potrebbe trovarsi a rivestire il ruolo di paese cerniera, da una parte contribuendo a governare lo sviluppo degli stati del Sud, dall’altra continuando a coltivare un rapporto ormai privilegiato con gli Stati Uniti. Bisogna peraltro chiedersi (Sisci, 2009) quanto i due tipi di relazione del paese asiatico saranno compatibili tra di loro e quale diventerà alla fine eventualmente quello più importante.

Testi citati nell’articolo

– China daily, $120b fund for Asean set to commence, www.chinadaily.com.cn, 22 ottobre 2009

– Kynge J., China blurs bipolar view of the world, www.ft.com, 19 novembre 2009

– Kroeber A., Obama knows chest-thumping and China don’t mix, www.ft.com, 24 novembre 2009

– Lapper J., China’s appetite boosts South Africa, www.ft.com, 19 ottobre 2009

– Sisci F., Asia or America for China, www.lastampa.it, 29 ottobre 2009

The Economist, The dragon in the backyard, 13 agosto 2009, a

The Economist, Distant dreams, 29 ottobre 2009, b

– Wheatley A., Asia could benefit from cooperating on infrastructure, www.nyt.com, 24 novembre 2009

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