Top menu

Le sfide di Dilma e i problemi del Brasile

BRIC/La presidente del Brasile considera la crisi europea folle e minacciosa, anche per il più progressista dei Bric. Che incontra nella sua crescita parecchi dilemmi da risolvere

Premessa

Come è sotto gli occhi di tutti, i paesi occidentali si trovano di fronte a grandi difficoltà economiche, sociali e politiche, mentre contemporaneamente molti dei paesi emergenti continuano a raggiungere traguardi di crescita anche sorprendenti, spettatori ormai perlomeno perplessi, anche se non distaccati, di quello che sta succedendo nei paesi ricchi.

Dilma Rousseff, l’attuale presidente del Brasile, ha così dichiarato di recente di considerare la crisi europea e statunitense come frutto di follia. L’incapacità politica dei paesi sviluppati nel riuscire a trovare una soluzione ai loro problemi pone per la Rousseff una minaccia rilevante all’economia globale.

Ma per la verità anche i Bric, compreso il Brasile, hanno davanti a loro in questo momento diversi problemi di rilievo da affrontare, anche se certo si tratta di difficoltà legate alla crescita dell’economia e non invece alla stagnazione e all’indebitamento.

La crescita

Lo sviluppo economico del paese sudamericano non ha certamente conosciuto sino a oggi i ritmi della Cina o anche dell’India, registrando un aumento medio annuo del pil che tra il 2003 e il 2010 si è aggirato “soltanto” intorno al 4%, mentre anche le previsioni correnti per il 2011 parlavano sino a poco tempo fa di una cifra di valore analogo; peraltro, le notizie più recenti sulla crisi nei paesi ricchi tendono a far pensare che forse a consuntivo i risultati saranno un po’ meno positivi (al livello del 3,5-3,7%?).

Ma il Brasile si trovava, all’inizio della parabola di Lula, con un livello di reddito pro-capite della sua popolazione nettamente superiore a quello cinese o indiano e aveva già fatto un pezzo di strada parecchio più lungo nei processi di sviluppo economico, sia pure tra molte difficoltà e contraddizioni. D’altra parte, esso ha goduto, sempre sotto il governo Lula, di un miglioramento rilevante nella distribuzione del reddito tra le varie classi sociali, partendo da una situazione che era tra le più squilibrate al mondo.

Secondo uno studio della Getulio Vargas Foundation (Lehay, 2011, a), negli ultimi dieci anni il reddito pro-capite in termini reali del 50% più povero della popolazione è cresciuto del 68%, mentre quello del 10% più ricco è aumentato soltanto del 10%. Il livello del reddito è aumentato più velocemente, tra l’altro, tra i gruppi collocati tradizionalmente ai margini della società, quali i non bianchi, le donne, nonché quelli che vivono nelle regioni più povere del paese e nella favelas.

Si tratta di risultati nella distribuzione del reddito che, per quanto alla fine non interamente soddisfacenti visto il punto di partenza fortemente squilibrato, hanno però contribuito a migliorare in maniera decisa la situazione economica di decine di milioni di persone. Oggi il paese si trova, tra l’altro, con un livello di disoccupazione che appare il più basso della sua storia, ciò che ha portato, tra l’altro, di recente, a una carenza di manodopera, almeno per certe qualificazioni.

I problemi della crescita. Inflazione, credito al consumo, bilancia dei pagamenti

L’accesso facile e con bassi tassi di interesse al credito al consumo è stato almeno sino a ieri uno dei motori dello sviluppo economico brasiliano; il credito al settore privato è, tra l’altro, all’incirca raddoppiato dal 2007 a oggi. Più in generale, il processo di crescita del paese è stato spinto contemporaneamente dai consumi interni e dalle esportazioni e i due fenomeni appaiono peraltro tra di loro collegati. L’aumento delle entrate originate dalle esportazioni, alimentato tra l’altro soprattutto dall’aumento dei prezzi delle materie prime che il paese vende in tutto il mondo, ha certamente aiutato a reperire le risorse finanziarie necessarie per accrescere il credito alle famiglie, con una politica sostenuta peraltro dai poteri pubblici. Per converso il Brasile risparmia e investe poco, pur avendone in teoria i mezzi.

Esso ha infatti un tasso di risparmio complessivo che incide per il 17% sul pil, contro un 19% medio dei mercati sviluppati e un 32% dei paesi emergenti; esso deve anche accrescere gli investimenti, in particolare nelle infrastrutture e nel sistema educativo. Il tasso di incidenza degli investimenti sul pil, attualmente al livello del 18%, dovrebbe essere portato al più presto almeno al 25%.

Il livello di inflazione del paese sudamericano ha intanto raggiunto di recente il 7,0% su base annua, contro una politica ufficiale che mirava a contenerlo a una cifra massima del 4,5%; per combattere il fenomeno la banca centrale è stata costretta ad aumentare di ben cinque volte quest’anno i suoi tassi di interesse di riferimento, portandoli sino al 12,5%, anche se a fine agosto 2011 le difficoltà dell’export hanno spinto la banca centrale a ridurlo al 12,0%. Tale valore appare comunque superiore di cinque punti circa a quello del tasso di inflazione, fenomeno quest’ultimo che spaventa le classi dirigenti del paese che ricordano la terribile situazione presente a questo proposito in Brasile in un periodo ancora recente.

Tale aumento nei livelli di inflazione sta comunque mettendo in crisi anche lo sviluppo del credito al consumo e il fenomeno tocca soprattutto le classi più povere. In effetti, oggi i brasiliani spendono in media più del 25% del loro reddito disponibile per il servizio del debito, contro soltanto il 16% nel caso degli Stati Uniti. I tassi di interesse medi sui prestiti al consumo erano arrivati sino al 47% annuo nel maggio del 2011 (Marshall, Rajpal, 2011).

Per altro verso, l’aumento nei tassi di interesse sul mercato interno, insieme alla buona salute dell’economia, hanno spinto grandi masse di capitali esteri a puntare sul paese, ciò che non ha mancato peraltro di portare a una forte crescita del real, il cui valore è aumentato di circa il 46% negli ultimi due anni e mezzo e si trovava a fine agosto 2011 al suo livello più alto dal 1999, da quando cioè la moneta nazionale ha cominciato a essere convertibile. Va comunque ricordato che nel settembre del 2011, in relazione anche alla diminuzione nei tassi di interesse sopra ricordati, il real si è indebolito del 15% (Leahy, 2011, b).

Questo aumento nel valore della moneta e in quello dei tassi di interesse ha avuto comunque, tra l’altro, come conseguenza il manifestarsi di rilevanti difficoltà per le esportazioni del settore industriale, che in effetti ha visto una contrazione sia pure ridotta nel suo livello di attività nel mese di agosto 2011 (Lehay, 2011, b).

Se consideriamo le cose da un altro punto di vista, dal 2006 a oggi le importazioni brasiliane sono pressappoco raddoppiate, mentre le esportazioni sono cresciute in volume soltanto del 5%; l’equilibrio dei due fenomeni è stato portato dall’aumento dei prezzi delle stesse esportazioni (www.ft.com, 2011). L’incremento dei consumi si è fatto così in gran parte con l’aumento delle importazioni, per una parte consistente dalla Cina. Ci si può chiedere cosa succederebbe all’economia del paese e ai suoi equilibri se i prezzi delle materie prime cominciassero a diminuire in misura rilevante. Lo stesso problema si pone anche per un paese vicino come l’Argentina.

Per quanto riguarda le importazioni, il governo ha di recente preso delle misure per cercare di frenarle, ma esso cerca allo stesso tempo di non inimicarsi la Cina, l’attore straniero che fornisce di gran lunga il maggior contributo allo sviluppo del paese.

L’agricoltura

Mentre il settore industriale nazionale soffre molto, a causa in particolare della rivalutazione della moneta, quello agricolo va molto meglio, tanto che se la Cina è nota, a ragione, come la fabbrica del mondo, il Brasile potrebbe ormai fregiarsi del titolo di fattoria del pianeta.

Come ci ricorda, ad esempio, un articolo relativamente recente (Van Eeckhout, 2011), ancora nel 1975 il Brasile era importatore netto di prodotti agricoli, mentre entro dieci anni esso potrebbe diventare il principale produttore agricolo mondiale. Negli ultimi 20 anni la produttività del settore è aumentata del 145%; già oggi il paese è il primo produttore ed esportatore mondiale di zucchero, caffè, succo d’arancia, il primo esportatore di soia, di carne bovina e di tabacco e il secondo esportatore di carne avicola.

Tra l’altro, il paese beneficia di una grande varietà di climi e di ecosistemi, che permettono la produzione di quasi tutte le specie vegetali commestibili; lo sviluppo del settore si appoggia anche a una meccanizzazione spinta e a un’intensificazione delle produzioni, che può contare, oltre tutto, sul lavoro di un grande istituto di ricerca agricola, l’Embrapa.

Il rovescio della medaglia appare costituito dai costi sociali e ambientali di tale crescita. In particolare la distribuzione delle terre in Brasile è una delle meno egalitarie del pianeta. La concentrazione della proprietà continua poi ad aumentare nel tempo e a spingere l’esodo rurale (JPL, 2010), ciò che peraltro contribuisce ad accrescere il livello della povertà nelle città.

Di fatto, oggi l’85% del reddito agricolo si addensa in circa 400.000 imprese, mentre permangono milioni di piccole unità poco produttive e poco assistite.

Prima della sua elezione Lula aveva messo in programma una grande riforma agraria, ma poi ha distribuito molte meno terre di quanto aveva precedentemente promesso, preferendo, nella sostanza, lottare direttamente contro la povertà con altri strumenti e puntando, per il settore agricolo, soprattutto sui grandi complessi agroindustriali.

Mentre la coltura della canna da zucchero è in pieno boom e conquista una superficie crescente delle terre disponibili, d’altro canto le condizioni dei lavoratori nelle grandi imprese che in particolare producono biocarburanti dalla stessa canna sono durissime e al limite della sopravvivenza. Contemporaneamente i processi di produzione agricola e industriale del settore generano danni alla salute dei lavoratori e inquinano gravemente l’ambiente.

Intanto, dopo che per diversi anni si era manifestato un rilevante rallentamento nei processi di deforestazione – ciò che non aveva impedito un forte aumento della produzione agricola – il futuro della selva amazzonica è di nuovo in pericolo. In effetti, il Senato sta discutendo un progetto di legge che promette un’amnistia ai proprietari che hanno effettuato dei processi di deforestazione prima del giugno 2008; in vista dell’approvazione del provvedimento, la distruzione della foresta è ripresa in forme molto importanti, perché molti pensano che a una prima amnistia ne seguiranno poi delle altre. Si spera che, in ogni caso, la Roussel, se non riuscirà a convincere la maggioranza dei senatori a recedere dal progetto, usi almeno il suo potere di veto contro di esso.

Dilma Rousseff e la corruzione

La corruzione infetta anche il Brasile e si associa, come sempre, a una burocrazia elefantiaca e inefficiente; certo essa non raggiunge le forme parossistiche che ha assunto da tempo in India, ma cionondimeno pone delle rilevanti difficoltà alla gestione del paese. Viene calcolato da fonti ufficiose che attualmente il fenomeno costi ogni anno all’incirca il 2% del pil, ma la realtà potrebbe essere anche peggiore. Ora, con l’avvio dei grandi lavori infrastrutturali per la Coppa del Mondo del 2014 e per le Olimpiadi del 2016, c’è spazio per un peggioramento della situazione.

Nel frattempo D. Rousseff, che ha già costretto alle dimissioni il suo responsabile di gabinetto, il ministro dei trasporti, il viceministro dell’agricoltura e diversi alti funzionari di quello del turismo che sembra decisa ad andare avanti sulla via di una lotta serrata al fenomeno, si scontra però con una coalizione di governo fatta di molti partiti, almeno alcuni dei quali non vedono con molto entusiasmo questa sua azione e potrebbero lasciare l’esecutivo (The Economist, 2011).

Conclusioni

Indubbiamente il paese si trova di fronte a molti problemi, dalla corruzione, a una ripresa dei tassi di inflazione, alle carenze del sistema educativo, al basso livello degli investimenti, a un apparato industriale in rilevanti difficoltà, ai persistenti alti livelli di disuguaglianza.

Certamente Dilma Rousseff, che si trova tra l’altro obbligata ad affrontare un quadro politico interno pieno di insidie, ha davanti delle scelte difficili e la navigazione del suo governo appare difficoltosa.

Vogliamo comunque sottolineare che pur tuttavia il Brasile resta, tra i paesi del Bric, quello che è, tutto sommato, più attento alle condizioni dei poveri e dei diseredati. La presidenza ha ora, tra l’altro, lanciato di recente un programma che mira a estendere il sistema del welfare ad altri 16 milioni di cittadini molto poveri.

Testi citati nell’articolo

Editoriale, Brasil’s currency war wounds, www.ft.com, 7 luglio 2011

JPL, Les sans-terre, oubliés du pouvoir, in Brésil, un géant s’impose, Le Monde, hors-série, settembre-ottobre 2010

Lehay J., Tale of two classes in Brasil as millions climb out of poverty, Financial Times, 21 luglio 2001

Lehay J., An Amazonian battle, www.ft.com, 28 agosto 2011, a

Lehay J., Brasil braces for manufacturing contraction, www.ft.com, 4 ottobre 2011, b

Marshall P., Rajpal A., Brasil risks tumbling from boom to bust, www.ft.com, 4 luglio 2011

The Economist, Dilma tries to drain the swamp, 20 agosto 2011

Van Eeckhout L., Brésil, la nouvelle ferme du monde, Le monde, 22 giugno 2011