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La scelta obbligata: Monti e gli aiuti Ue

L’aggravarsi della crisi potrebbe portare il governo Monti a chiedere l’aiuto europeo: la scelta alle prossime elezioni diventerebbe a senso unico

Il Pil italiano nel secondo trimestre è caduto del 2,6%, i consumi durevoli e gli investimenti del 10%. La recessione affonda l’economia ma anche i conti pubblici:i saranno circa 15 miliardi di euro di minori entrate fiscali, forse altrettanti di maggiori interessi – dovuti allo spread – sui quasi 2.000 miliardi di debito pubblico, alcuni miliardi di maggiori spese per l’emergenza sociale. In tutto 40 miliardi di euro che spending review e tenue lotta all’evasione non possono compensare. Per quest’anno il rapporto deficit/Pil resta al 2,2%, ma – per gli impegni del Fiscal compact – dovrà scendere a zero nel 2013: un’altra trentina di miliardi di tagli. A ottobre, preparando il bilancio 2013, Mario Monti potrebbe non resistere alla tentazione di chiedere l’aiuto europeo dello scudo anti-spread e del Fondo salva-stati, (reso possibile dal via libera della Corte costituzionale tedesca). La promessa è portare i tassi d’interesse vicini a quelli tedeschi, e prossimi allo zero in termini reali (l’inflazione italiana è al 3,3%). Una boccata d’ossigeno per pareggiare il bilancio. Ma c’è un prezzo: il Memorandum che il governo dovrà firmare con Bce e poteri europei per rendere permanenti austerità e privatizzazioni. Gli aiuti potranno durare quasi tutta la prossima legislatura. E possono essere interrotti non appena il governo non rispettasse più gli impegni. Un governo di centrosinistra che volesse cambiare politica sarebbe lasciato scoperto dalla Bce, con un crollo della «fiducia dei mercati» e decine di miliardi di euro di spese in più per interessi. Un bel ricatto sulle forze politiche e sull’elettorato. È questa la forza del progetto di dare continuità alla politica di Monti. Il «soggetto politico» che dovrà ricevere l’investitura elettorale è in frenetica costruzione: ogni giorno nuove «discese in campo», dopo Corrado Passera e la lista Montezemolo-Giannino, ora abbiamo Emma Marcegaglia con l’Udc e la lista di Giulio Tremonti, uno Zelig per tutte le stagioni. Un blocco litigioso al suo interno ma diretta espressione di banche e Confindustria, capace di ereditare notabili berlusconiani e moderati del Pd. La depressione generata dall’austerità liberista provoca – per le regole che si è data l’Europa «tedesca» – la scelta obbligata di continuare con l’austerità liberista, sotto la minaccia della finanza. È la nuova identità del centro-destra, un colpo durissimo alla democrazia. Ci sono margini per sfuggirne? In Spagna è lo stesso governo conservatore di Mariano Rajoy a dubitare: l’aiuto della Bce potrebbe non avere gli effetti positivi attesi e viene con un prezzo politico troppo alto. In Olanda il voto porterà probabilmente al passaggio da un governo di destra a una «grande coalizione» socialdemocratici-liberali. In Francia François Hollande affronta l’austerità ma colpisce i ricchi. Le vie del liberismo sembrano esaurirsi dappertutto; in Italia c’è chi vuole farne una strada obbligata.