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L’economia si ripensa. Ma ci ripensa?

La discussione sui “titoli tossici”, i processi agli economisti a Trento, libri e dibattiti. La scienza economica prova a tornare con i piedi per terra

Saranno pure autistici (come dice qualcuno) ma per fortuna un po’ di autocritica non gli manca. E’ quel che veniva da pensare degli economisti, aggirandosi nella kermesse di successo che anche quest’anno ha portato a Trento molti visitatori, e ancor più ne ha portati sul sito del Festival dell’Economia. Con la riuscita formula dei “processi” – agli economisti, ai regolatori, alla finanza – Tito Boeri & co. hanno sfangato brillantemente l’annata più difficile, quella in cui solo a sentir parlare di economia ed economisti molti sono tentati di metter mano alla pistola. E invece: decine di seminari e incontri tutti affollati, un pubblico misto e mescolato – zainetti e 24ore, (molte) biciclette e (pochissime) auto blu, studenti e Nobel -, famigliole italiane in gita culturale. Come succede per la letteratura, per la filosofia, per le lezioni di storia, quando vengono portate in piazza e all’improvviso scopriamo che non tutti hanno voglia solo di stare in casa attaccati a un video.

Però, qui si parlava di economia, anzi per essere precisi di economia in frantumi. E ne parlavano molti di quelli che fino a ieri – e alcuni ancora oggi – decantavano la razionalità di quel che sembrava reale. Alcuni, onestamente, hanno continuato a farlo: come Luigi Zingales, prof alla Graduate School of Business dell’Università di Chicago ed editorialista del Sole 24 Ore, che un po’ per svolgere il ruolo assegnatogli e un po’ credendoci davvero ha difeso la finanza e incolpato la politica: se il governo toglie i limiti di velocità e incentiva il noleggio delle auto ai minorenni, ha detto, non si può dare la colpa ai noleggiatori delle automobili se poi i ragazzi si schiantano. I “ragazzi”, quelli chiamati dalla macchina organizzativa del Festival a fare la giuria del finto processo, non si sono fatti infinocchiare, e hanno condannato lo stesso la finanza: forse intuendo la falla che c’era dentro la storiella, e cioè che in molti casi i “noleggiatori” avevano messo in giro auto col motore truccato. O, per dirla con le parole di Marco Onado che nel processo ha fatto la pubblica accusa, avevano fatto crescere il loro business “occultando fraudolentemente all’autorità di vigilanza i rischi effettivi”.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Anche se i banchetti dei libri a Trento traboccavano di mea-culpa (e vostra-culpa) degli economisti, e anche se il gruppo promotore del Festival ha avuto la buona idea di lavare i panni sporchi in pubblico, aleggiava in giro per le sale e le strade il fantasma della politica. E non perché il ministro Tremonti, al quale piace stare in cattedra ma da solo, non si è presentato. Ma perché è alla politica che infine tutti presentano il conto: perché non ha fatto, non ha detto, non ha previsto, non è intervenuta. E lo fanno – lo hanno fatto – anche coloro che fino a pochi mesi fa chiedevano ai governi di stare fermi e buoni, anzi ritirarsi il più possibile in confini sempre più piccoli. Non solo: hanno chiesto e ottenuto che ciò, per quanto riguarda l’Europa, fosse scritto anche in Costituzione. Trovandosi oggi senza strumenti né analitici né concreti per spalare le macerie. Certo la politica ha tutte le sue colpe e la sinistra europea ne ha ancora di più: ma è un po’ strano sentire i consiglieri del Principe rimproverare il Principe di aver seguito i loro consigli. Certo, è un discorso che non vale per tutti e per tutto. Come racconta ad esempio Roberto Petrini nel suo tempestivo libro “Processo agli economisti” (Chiarelettere, 2009), c’erano economisti che la pensavano e la dicevano in un altro modo, e alcuni avevano addirittura anticipato e previsto quel che sarebbe successo, da Roubini al nostro Sylos Labini (per rivedere alcuni articoli “profetici”, leggere qui).

Forse il pensiero non ortodosso avrà più fortuna e successo anche nei Festival nel futuro. Certo è che per adesso la riflessione sul rapporto tra economia e mondo reale si sta allargando. Il sito www.toxictextbooks.com si va riempiendo di contributi e ha un gruppo Facebook che ha superato i 1000 iscritti in 12 giorni. Uno sviluppo che è stato segnalato anche dal sito di Nouriel Roubini, uno dei pochi economisti che aveva anticipato il crollo finanziario. Ripensamenti e autocritiche si diffondono anche nelle università più blasonate, come Princeton, dove il professore di economia Uwe Reinhardt, nel suo discorso ai laureati del 2009 – uscito sul Daily Princetonian, il giornale di ateneo, dell’11 maggio – chiede ai giovani di rimediare alle due “malattie mentali” che hanno colpito la generazione dei loro genitori: l’illusione che i prezzi di titoli e case non possano che crescere e l’abitudine di vivere sui debiti. E ricorda che l’idea “che il settore privato sia intrinsecamente capace di autoregolarsi e invariabilmente più capace di fornire efficienza e miglioramenti di benessere non è che un mito”. Chi ci crede ha subito un “lavaggio del cervello” da parte di una categoria di economisti che meriterebbe invece una rieducazione.

La discussione è stata ugualmente intensa anche sul nostro sito, con l’articolo di Giorgio Lunghini “L’economia che cade dalla cattedra” del 28/05/2009 e quello di Roberto Artoni “La cultura economica e la crisi” del 29/05/2009 ripreso dal sito di Econpubblica dell’Università Bocconi. Anche qui il punto centrale è l’avvitamento della teoria economica mainstream su ipotesi di funzionamento “perfetto” dei mercati che non hanno alcun rapporto con la realtà dell’economia. Modelli costruiti in tal modo hanno giustificato decisioni di liberalizzazione, privatizzazione e deregolamentazione che hanno dominato i trent’anni di politiche neoliberiste. Artoni ricostruisce con efficacia gli stretti legami tra i punti chiave delle teorie dominanti e le conseguenze di politica economica che ne sono derivate: più spazio agli automatismi di mercato ha portato sul mercato del lavoro a occupazioni precarie e minori salari reali; a livello macroeconomico ciò ha prodotto minor domanda aggregata e crescita (dove la domanda non è stata sostentuta dall’indebitamento delle famiglie, come negli Usa); sui mercati finanziari la totale liberalizzazione ha portato a bolle speculative, bilanci non trasparenti e attività extracontabili, che rappresentano “le manifestazioni patologiche più evidenti di un sistema in parte collassato, in parte salvato da finanziamenti pubblici di straordinarie dimensioni”. Artoni ci ricorda che “i problemi di distribuzione funzionale e personale del reddito, di gestione della domanda aggregata e di ripartizione dei rischi sociali o di rafforzamento dell’apparato produttivo” non possono essere lasciati fuori dal quadro interpretativo che usiamo per capire l’economia. Per segnalare qualche antidoto ai “titoli tossici”, ci sono due libri di Bernard Maris, professore all’Institut d’Études Européennes di Parigi, membro del consiglio scientifico di Attac e animatore della rubrica economica di Charlie-Hebdo. Il suo Antimanuale di economia, dedicato alle “formiche”, cioè all’economia della scarsità, è stato pubblicato nel 2005 da Marco Tropea. Aspetta ancora una traduzione il secondo volume, Anti-manuel d’économie, 2. Le cigales (Editions Bréal, 2006), illustratissimo e ironico, dedicato alle frontiere dell’economia e alle visioni alternative. Quanto alla discussione italiana, una buona occasione si avrà martedì 9 giugno, alla Facoltà di Economia de La Sapienza (ore 15 e30, via del Castro Laurenziano 9), in occasione della presentazione del secondo volume di scritti di e per Federico Caffè, edito da Ediesse.

Nell’immagine: un’etichetta “di avviso” per libri inadatti. Postata da Edward Fullbrook al gruppo “toxic textbooks” su Facebook