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Lavoro, un Jobs Act senza miracoli

Sin dall’approvazione del Jobs Act è andata in scena una “battaglia dei dati” condotta dal governo per difendere la bontà delle sue riforme. I dati statistici però hanno costituito una barriera contro cui l’ottimismo della volontà renziano è sembrato cozzare inesorabilmente.left.it

Anno 2015, era Jobs act. Per la prima volta i lavoratori italiani sono stati privati della “tutela reale” nei confronti dei licenziamenti ingiustificati, ovvero il diritto al reintegro. È l’anno in cui, nel mezzo di continui tagli alla spesa pubblica, sono state destinate – sotto forma di decontribuzioni per le imprese – ingenti risorse per stimolare le nuove assunzioni “a tutele crescenti”. Ed è anche l’anno in cui si è deciso di allentare i vincoli per l’uso di strumenti contrattuali precari come il contratto a tempo determinato e il voucher. Sin dall’approvazione del Jobs act, legge cardine tra gli interventi governativi del 2015, è andata in scena una “battaglia dei dati”, condotta dal governo per difendere la bontà delle sue riforme del lavoro. La testardaggine delle rilevazioni statistiche, tuttavia, ha costituito una barriera contro cui l’ottimismo della volontà renziano è sembrato cozzare inesorabilmente.

Uno studio condotto dal sottoscritto, con Marta Fana e Valeria Cirillo (Jobs act: cronaca di un fallimento annunciato), ha messo in luce l’incapacità delle misure del governo Renzi di raggiungere i loro stessi obiettivi. E un’ulteriore evidenza arriva pure dall’Istat, con i dati occupazionali relativi al periodo gennaio-novembre 2015: con una quota di occupati pari al 56,4%, l’Italia continua a detenere una delle maglie nere d’Europa. E il dato sull’inattività è ancora più preoccupante: il 35,7% dei disoccupati diviene inattivo tra il primo e il secondo trimestre del 2015, contro una media europea del 16,8%. Al contrario, la transizione verso l’occupazione rimane sotto la media Ue (16,1 contro il 18,1%).

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