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Il caso Marcegaglia e le imprese italiane

Le difficoltà del gruppo Marcegaglia riflettono quelle delle grandi imprese italiane e le loro strategie sul fronte sindacale e del lavoro

La crisi in atto, tra le molte conseguenze, ha avuto anche quella di aumentare le difficoltà in cui si dibatteva già da tempo il sistema della grande e medio-grande impresa italiana. Così diversi gruppi nazionali di diverse dimensioni sono stati acquisiti dal capitale straniero, mentre altri minacciano di esserlo, altri ancora stanno passando attraverso faticosi processi di ristrutturazione (vedi il caso Fonsai che dovrebbe essere inglobato per la gran parte in Unipol). Infine, qualcuno, come la Marcegaglia, ha visto bloccata all’improvviso una marcia alla crescita che sembrava inarrestabile e messo in difficoltà le sue prospettive di sviluppo futuro, rivelando anche alcune debolezze strategiche di fondo. Il caso della Marcegaglia ci aiuta a comprendere quali rilevanti difficoltà deve affrontare in questo momento l’impresa italiana e, in tale quadro, quali siano alcune delle strategie di risposta che essa cerca di portare avanti sul fronte sindacale e del lavoro.

aspetti generali

Il gruppo opera principalmente nel settore della produzione di tubi in acciaio, ma si occupa anche di una serie di attività diversificate, che vanno dai manufatti per l’edilizia alle macchine per l’industria siderurgica, ai pannelli fotovoltaici, al turismo. Tali comparti pesano attualmente sul fatturato complessivo soltanto per il 12% circa, anche se assorbono preziose risorse finanziarie e umane. Si tratta, per alcuni versi, di un vizio più generale della grande impresa nazionale che, appena dispone di qualche liquidità, si permette da sempre delle costose divagazioni dal business principale. La Marcegaglia, nel periodo 1998-2007, ha visto le sue dimensioni crescere rapidamente, sino a raggiungere sostanzialmente, almeno come livello del fatturato, la taglia delle principali protagoniste del settore, dalla italo-argentina Tenaris alla francese Vallourec, dalla giapponese Sumitomo Metals alla tedesca Mannesman. Tale crescita è a suo tempo avvenuta sia attraverso dei processi di espansione dall’interno, sia soprattutto con una rilevante attività di acquisizione di imprese del settore che gettavano progressivamente la spugna, in questo facendo venire in mente Le Anime Morte di Gogol, un romanzo il cui protagonista, Cicikov, vagava nelle campagne russe per comprare da altri nobili le liste dei contadini morti. Così nel 2007 la sua cifra d’affari aveva raggiunto i 4,2 miliardi di euro circa, con una crescita media del 18% all’anno nel periodo 2002-2007, mentre anche il numero degli addetti e i profitti aumentavano senza posa.

Ma la crisi ha subito rivelato la fragilità di tale andamento. Così nel 2009 il fatturato è crollato a 2,7 miliardi, mentre il 2010 ha visto una ripresa anche se la cifra d’affari, a 3,8 miliardi di euro, era ancora inferiore a quella del 2007. Il crollo è da mettere in relazione sia con una riduzione delle quantità vendute che dei prezzi relativi. Nel 2006 il 58% del fatturato riguardava l’Italia e il 96% l’Europa, mentre nel 2010 tale ultima percentuale era scesa all’88%. Va comunque sottolineato, a tale proposito, come negli ultimi anni l’azienda abbia avviato un sia pur tardivo e rilevante processo di internazionalizzazione, in particolare verso i paesi del BRIC, facendo anche un grande sforzo a livello di investimenti; il processo non ha però portato ad annullare le distanze che la separano dalla concorrenza. Si consideri soltanto, ad esempio, che nel caso della Vallourec il 74% delle vendite si svolgeva nel 2010 fuori dall’Europa e in quello della Tenaris ben il 90%.

Un’altra e ancora più importante debolezza strategica della Marcegaglia riguarda il fatto che le altre aziende prima citate concentrano le vendite nel settore dei tubi per l’energia, di gran lunga quello a più alto valore aggiunto e il più redditizio, mentre la Marcegaglia è praticamente assente dal comparto e si trova invece relegata in segmenti di mercato in cui la concorrenza è molto più forte, mentre i margini sono molto più ridotti e più esposti alla crisi; si veda, così, cosa sta succedendo nel nostro paese ai comparti dell’edilizia, degli elettrodomestici, dell’auto, tutti importanti clienti del gruppo.

i dati economici e finanziari

Le difficoltà strategiche dell’azienda si riflettono sulla struttura dei suoi costi e dei suoi ricavi e più in generale sui suoi risultati economici e finanziari. Il gruppo, dopo che nel periodo precedente otteneva utili significativi, dal 2008 in poi non guadagna più. Il leggero utile che è ancora presente nei bilanci a partire da quell’anno appare sostanzialmente irrilevante: una variazione anche minima e perfettamente legale nei criteri di valutazione di qualche posta dell’attivo potrebbe portare facilmente ad una situazione di sia pure moderata perdita. Ma la presidente di Confindustria non può presentarsi con dei bilanci non in utile.

Tra le cause delle difficoltà, stanno, da una parte, la maggiore incidenza dei costi fissi sul risultato finale di fronte ad un fatturato ridotto, dall’altra certamente l’aumento dei costi delle materie prime, che non si è riusciti a scaricare interamente sui prezzi dei prodotti finali. L’azienda rischia da questo punto di vista di trovarsi tra due fuochi, tra la pressione dei produttori della materia prima a monte e quella della concorrenza a valle. Da segnalare, ancora, la relativa esiguità del valore aggiunto aziendale, anche prima della crisi, segno del fatto che le produzioni dell’azienda sono abbastanza povere. Parallelamente, anche il costo del lavoro, componente fondamentale dello stesso valore aggiunto, appare molto basso, collocandosi oggi intorno al 6-7% del fatturato complessivo. Il confronto con la migliore concorrenza del settore appare certamente impietoso su tutti i fronti. Prendendo come riferimenti in particolare i bilanci di Tenaris e di Vallourec e confrontandoli con quelli del gruppo Marcegaglia si ottengono i seguenti risultati:

– sul fronte del conto economico, il valore aggiunto della Marcegaglia si colloca nel 2010 intorno al 12,5% del fatturato, mentre esso è al 35,5% per Vallourec e al 39,2% per la Tenaris. Questo permette alla concorrenza di sopportare anche un costo del lavoro molto più elevato rispetto a quello della Marcegaglia. L’incidenza di questa voce sul fatturato, sempre nel 2010, è in effetti del 14,9% nel caso della Vallourec, del 12,2% in quello della Tenaris e solo del 7,1% in quello dell’impresa italiana. Questo significa anche che le due imprese riescono a dare molta più occupazione a parità di fatturato. Anche l’utile netto di esercizio sul fatturato risulta estremamente più elevato nel caso delle prime due e pari al 16,2% per la Vallourec del 14,8% per la Tenaris e soltanto dello 0,2% per la Marcegaglia;

– ancora più sfavorevole appare il confronto per quanto riguarda la struttura finanziaria delle varie imprese. Dal lato dell’attivo di bilancio, le imprese concorrenti presentano un’incidenza degli investimenti sul totale del capitale investito molto più elevata. Inoltre, dal lato del passivo, il rapporto del capitale netto con il totale delle fonti di finanziamento è del 63,9% nel caso della Vallourec, del 73,5% in quello della Tenaris e soltanto del 25,3%vin quello della Marcegaglia. Un abisso.

la questione sindacale e del costo del lavoro

I rapporti dell’azienda con il sindacato si presentavano tradizionalmente come abbastanza pacifici e sostanzialmente improntati alla buona volontà; si trattava, da questo punto di vista, quasi di un’anomalia nel panorama delle relazioni sindacali nazionali. Ma, dopo l’avvio della crisi, in particolare dal 2010 in poi, il clima interno si è deteriorato e l’impresa ha varato una politica più ostile, in particolare cominciando a dialogare con le sole rappresentanze sindacali di livello aziendale e trascurando quelle a livello di coordinamento sindacale, passando poi a richiedere di inquadrare i nuovi assunti di vari stabilimenti del gruppo, e per un periodo di sei anni e mezzo, con salari di ingresso molto più ridotti rispetto a quelli normali. La Fiom ha rifiutato tale ipotesi mentre gli altri sindacati si sono dichiarati alla fine d’accordo. L’impresa mostra così di tendere a dividere le rappresentanze dei lavoratori e a cercare di concentrare l’attenzione sul problema del costo del lavoro, quando in realtà i temi di fondo posti dalla crisi sono ben altri.

conclusioni

le vicende più recenti della Marcegaglia appaiono abbastanza rappresentative di quelle di tante altre imprese nazionali di dimensioni produttive più o meno rilevanti. Cresciute molto negli anni “facili”, esse si ritrovano ora, con la crisi, da una parte con una presenza internazionale largamente insufficiente, dall’altra con le difficoltà ad inserirsi nelle fasce di mercato più ricche ed avanzate, mentre mostrano anche un management di frequente non adeguato ai compiti nuovi. La conseguenza alla fine è quella di risultati complessivi mediocri. Invece di affrontare tali problemi, molte imprese trovano più semplice prendersela con i lavoratori e le loro rappresentanze, apparendo ossessionate in particolare dalla questione del costo del lavoro, quando le loro difficoltà si trovano invece dal lato dei ricavi piuttosto che da quelli dei costi. L’evidente necessità di spingere invece sui processi di internazionalizzazione e sull’innovazione di prodotto si scontra all’interno con l’evidente carenza di risorse finanziarie e con dei gruppi dirigenti di frequente inadeguati al compito, mentre all’esterno le aziende si ritrovano con un sistema finanziario che guarda spesso altrove e con dei poteri pubblici del tutto assenti dalla scena.