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Covid-19: che fine farà la mobilità sostenibile?

Con la fase 2 riprenderanno gli spostamenti di milioni di persone. Per evitare che l’auto privata sia l’unica soluzione, occorre potenziare la mobilità a piedi e in bicicletta e innovare trasporto pubblico e sharing mobility. E puntare su riduzione del traffico, orari della città e servizi di prossimità.

Dal mese di maggio partirà la fase due “convivere con il virus” che durerà molti mesi, per poi arrivare a una fase tre di lunga e incerta durata.

Uno dei punti critici è la mobilità quotidiana dei cittadini/e: il distanziamento fisico impone grandi cautele e rischia di rappresentare il colpo di grazia definitivo per il trasporto collettivo, mentre l’auto potrebbe avere un vero rilancio. Anche la mobilità attiva a piedi, in bicicletta e con la micromobilità è un pezzo fondamentale della soluzione, se adeguatamente sostenuta e incoraggiata come mai abbiamo fatto in passato in Italia. I problemi di mobilità sono in discussione in tutti i Paesi e si stanno prendendo decisioni utili per rafforzare la mobilità alternativa all’auto: ad esempio a Parigi, Berlino, Budapest, Vienna, Londra si punta con decisione sulla mobilità ciclabile e il bike sharing. Allo stesso modo, in diverse altre città si ragiona su come potenziare i servizi di trasporto collettivo per servire in modo distanziato ingenti quantità di persone.

Il dibattito è aperto e per niente scontato. In Italia le amministrazioni comunali hanno avviato riflessioni interessanti, e gli ambientalisti insieme ad associazioni per la bicicletta ed esperti stanno facendo sentire la loro voce con proposte concrete. Le aziende e associazioni del trasporto pubblico e privato sono in grande difficoltà, ma stanno organizzando anch’esse una reazione. Mentre il mondo dell’auto sembra muoversi in prevalenza per un ritorno al passato, chiedendo incentivi al diesel, il rinvio dell’auto elettrica a dopo il 2025 e la proroga dei limiti alle emissioni di CO2 dei veicoli. Le scelte pubbliche che verranno adottate nelle prossime settimane a tutti i livelli di governo – Comuni, Regioni, Stato e Unione Europea – determineranno in modo decisivo se aumenterà l’insostenibilità del sistema di trasporti o, invece, se questa sarà una buona occasione per cambiare e accelerare la giusta transizione verso la sostenibilità.

Non dimentichiamo che l’“allarme clima” resta attuale a livello globale e dai tempi di cambiamento urgenti. Le scelte che faremo nelle prossime settimane, le risorse pubbliche che destineremo al sistema economico e produttivo, gli incentivi e i vantaggi fiscali dovranno essere condizionati alla logica del green deal, perché impegneranno notevoli risorse e genereranno effetti nei prossimi anni su tutto il sistema. Non avremo per molto tempo una seconda possibilità.

Come si sono spostati gli italiani durante il lockdown?

L’Osservatorio Audimob di ISFORT ha stimato con un’indagine specifica i comportamenti di mobilità dei cittadini durante il regime di restrizioni compreso tra l’11 marzo e il 10 aprile. Sono stati resi pubblici molti dati che, usando le SIM telefoniche, hanno dimostrato il calo poderoso della mobilità (e dell’inquinamento).

Questa ricerca spiega anche con quale mezzo di trasporto siano avvenuti gli spostamenti. In sintesi, nei primi 30 giorni di lockdown c’è stata una drastica riduzione della domanda di mobilità, con una diminuzione del 35% di quanti sono usciti di casa. Gli spostamenti complessivi sono diminuiti del 60% e i passeggeri*km (somma dei km percorsi dai cittadini) è diminuita di ben il 90%. Si è registrata una certa sostituzione di spostamenti più lunghi, strutturati e sistematici con tragitti molto brevi, a piedi, nel quartiere con la “mobilità di prossimità”. Infatti, la lunghezza media dei viaggi si è ridotta di oltre un terzo.

Guardando alla condizione professionale si sono registrate rilevanti differenze di comportamento: i pensionati sono rimasti a casa in larghissima parte, studenti, casalinghe e disoccupati hanno ridotto drasticamente viaggi e tragitti, mentre all’opposto chi ha un lavoro in due casi su tre ha effettuato almeno uno spostamento giornaliero.

Rispetto all’uso dei mezzi di trasporto, il confinamento ha prodotto un riposizionamento modale, nell’ordine di 5 punti percentuali di share, a favore della mobilità non motorizzata (a piedi in particolare) e a scapito della mobilità collettiva e della mobilità intermodale, il cui peso si è più che dimezzato.

L’analisi Audimob sembra mostrare che il maggiore ricorso all’auto, che molti analisti prospettano per il futuro di breve e medio termine, non sia avvenuto in regime di lockdown, anche se segnali preoccupanti in questo senso già si colgono, soprattutto guardando ai territori urbanizzati del Nord. Ma con la riapertura di fabbriche, uffici e servizi commerciali e poi a settembre delle scuole – contestualmente ai contingentamenti prospettati per il trasporto collettivo – il rischio dell’esplosione del traffico privato è più che concreto.

Accelerare le innovazioni e i cambiamenti strutturali

Oltre alle proposte in discussione su ogni tavolo locale e nazionale, vanno fissati alcuni elementi comuni – coerenti con la strategia europea “Avoid, Shift, Improve” – che sono essenziali per governare la mobilità e che, anche se da attualizzare, restano imprescindibili per il futuro.

1. Risparmiare traffico e spostamenti con smart working e prossimità. Di questi tempi abbiamo imparato in tanti come lavorare da remoto anche in modo collegiale. Serve spingere e mantenere il lavoro agile per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica e delle imprese private, sostenendo quelli che scelgono di andare in questa direzione, anche studiando vantaggi fiscali. Secondo Legambiente, ad esempio, i vantaggi fiscali di cui oggi beneficiano le auto aziendali possono essere estesi anche a mezzi e investimenti organizzativi per il lavoro a distanza, ai mezzi pubblici, alla condivisione e alla mobilità elettrica o muscolare in tutte le sue forme. Un altro elemento importante è promuovere il commercio, i servizi e gli spostamenti di prossimità, riducendo quindi la lunghezza dei viaggi.

2. Piano degli orari della città. Vanno ampliati e differenziati gli orari di ingresso al lavoro, nelle scuole, nei servizi pubblici e privati, nei servizi commerciali, nel tempo libero e nella fruizione della cultura, nei parchi e nei giardini, in modo da ridurre le ore di punta e utilizzare al meglio gli spazi e i servizi disponibili, in particolare quelli della sharing mobility e del trasporto collettivo. Devono essere inoltre strutturate e armonizzate le richieste da parte delle imprese e dei lavoratori tramite la pianificazione dei trasporti locali: il ruolo dei Mobility Manager diventerà quindi essenziale nelle fasi 2 e 3.

3. Sostenere e allargare la sharing mobility. Bike sharing, scooter sharing e micromobilità elettrica sono servizi essenziali per spostarsi in autonomia e rispettare un regime di distanziamento. Ovviamente questi servizi andranno adeguati alle misure vigenti, adottando precauzioni d’uso e procedure di sanificazione: elementi fondamentali, questi, soprattutto per la ripresa del car sharing. Serviranno risorse pubbliche per sostenere e potenziare il servizio anche in luoghi e realtà di periferia e delle aree metropolitane, dove i servizi di trasporto collettivo sono e saranno molto scarsi.

4. Elettrificazione dei veicoli e dei servizi. È abbastanza sorprendente che gli stessi che indicano l’auto come unico mezzo sicuro per i nostri spostamenti futuri, non chiedano l’elettrificazione di massa e incentivi massicci in questa direzione. L’allarme clima resta un problema essenziale e immediato e puntare sull’elettrificazione è necessario, per la sharing mobility, la bicicletta, il trasporto collettivo, per i motoveicoli e l’auto privata. È importante andare avanti anche su questo obiettivo, senza tornare indietro sugli investimenti per gli autobus già programmati o sulla quota che il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) ha fissato come obiettivo al 2030, che in qualche webinar sembrano rimessi in discussione in nome dell’emergenza Covid-19.

5. Non cancellare ZTL e Low Emission Zone. Qua e là nel dibattito viene proposto di sospendere anche per tutta la fase due ZTL e Low Emission Zone nelle città: strategia insostenibile proprio perché l’auto tenderà a crescere e quindi il sistema andrà regolato e controllato, evitando che la fase due produca l’incremento dell’inquinamento dell’aria e della congestione da traffico. E anche perché, se davvero si vuole dedicare spazio alla mobilità a piedi, in bicicletta e far circolare in modo fluido il trasporto collettivo, abbiamo bisogno di avere città libere da milioni di auto in circolazione almeno nelle zone centrali e più dense.

Avanti tutta con la mobilità attiva a piedi e in bicicletta

Tutte le principali associazioni della mobilità ciclabile e ambientaliste – tra cui Salvaiciclisti, FIAB, Legambiente, Cittadini per l’aria, Fondazione Michele Scarponi, Kyoto Club, Bikeitalia.it – hanno inviato un appello a Governo e Comuni per chiedere misure straordinarie di promozione della bicicletta.

Le associazioni chiedono la creazione di corridoi per la mobilità di emergenza con corsie dedicate alle forme di mobilità alternative all’auto lungo tutte le principali direttrici urbane, in modo da convogliare su di esse le quote di mobilità che si perderanno dal trasporto pubblico, almeno nelle parti più congestionate delle città. Si tratta di una soluzione già proposta per Parigi, dove si stanno programmando 650 nuovi chilometri di corsie dedicate alla bicicletta, e a cui stanno lavorando le principali capitali europee e del mondo, insieme al potenziamento del bike sharing. Inoltre, queste associazioni propongono un pacchetto di misure per la gestione sostenibile della mobilità nelle fasi due e tre della ripartenza. Si tratta di misure immediatamente realizzabili, a basso costo e che costituiscono una soluzione stabile anche a regime, tra cui:

  • Realizzazione di nuove regolamentazioni e/o infrastrutture “soft”, a basso costo e rapida attuazione, per la mobilità attiva (pedonale e ciclabile) e la micromobilità, in deroga al Codice della strada.
  • Introduzione, già dal prossimo “decreto aprile”, di forti incentivi economici e finanziamenti per il potenziamento della mobilità attiva con un Fondo interventi urgenti mobilità sostenibile dei Comuni, bonus-mobilità per acquisto bici elettriche, servizi di bike sharing e micromobilità.
  • Pieno mantenimento delle misure di equilibrio del sistema della mobilità, come le ZTL, la sosta regolamentata, le corsie preferenziali, indispensabili ancor oggi più che mai per gestire il traffico.
  • Contenimento della domanda e dei picchi di mobilità lavorativa e commerciale, promuovendo in modo diffuso lo smart working come modalità facoltativa di lavoro con priorità per i pendolari extraurbani, la differenziazione degli orari di attività economiche e uffici, e i sistemi di consegna a domicilio, privilegiando e incentivando quelli su bicicletta e cargo-bike.

Sulla base di questo appello qualcosa si sta muovendo, se anche la Ministra De Micheli parla di bicicletta nelle sue interviste. E se molte città come Milano, Roma, Firenze, Palermo, Napoli, Torino, Bologna stanno immaginando soluzioni di potenziamento della ciclabilità e hanno aperto tavoli di confronto con le associazioni e i tecnici. Interessante il caso della Provincia di Bolzano, che vuole che il 20% degli altoatesini si sposti abitualmente in bicicletta entro il 2030. Infatti, in vista della fase due, il Dipartimento infrastrutture e mobilità sta lavorando a un pacchetto di misure sia per l’ampliamento della mobilità ciclabile che per sgravare i mezzi pubblici. Quindi: non solo emergenza pandemia, ma un progetto stabile di mobilità ciclistica per il futuro.

È pur vero, d’altra parte, che dalle principali città arrivano per ora proposte timide: per esempio, Milano punta a 35 chilometri di nuove reti ciclabili, che a confronto con i 650 di Parigi sono davvero poca cosa. C’è da sperare che dai tavoli escano soluzioni concrete da realizzare immediatamente, così come dalle misure, regole e risorse da parte del Governo.

Il trasporto pubblico, la vera incognita del futuro

Essendo trasporto di massa, il trasporto collettivo è quello che risentirà di più della pandemia da coronavirus. La ripartenza con la fase due si preannuncia lenta, difficile da gestire. Nella fase uno di blocco totale il servizio è stato ridotto in modo drastico mediamente dell’80% su autobus, metropolitane, tram e treni, e gli utenti sono diminuiti del 90%. Con l’imminente riavvio di diverse attività, l’offerta dovrà essere aumentata in condizioni di sicurezza per lavoratori e utenti. Ricordiamo che a livello nazionale, nell’Italia ante Covid-19, in un giorno medio feriale si registravano circa 100 milioni di spostamenti e si percorrevano 1,1 miliardi di chilometri. L’85,8% degli spostamenti motorizzati veniva effettuato con auto e moto, la quota del trasporto pubblico si fermava al 14,2%. Quindi, gli spostamenti gestiti attraverso la mobilità pubblica erano oltre 14 milioni al giorno, per un totale complessivo annuo di quasi 5,4 miliardi.

Comuni e Regioni stanno ragionando su come far ripartire gradualmente il trasporto pubblico. ASSTRA, l’associazione delle aziende del trasporto pubblico locale (Tpl), ha presentato un documento relativo alle fasi 2 e 3 al fine di individuare le misure operative delle imprese di Tpl per la gestione della ripartenza, con l’obiettivo primario di garantire la sicurezza sanitaria dei clienti e del personale e di evitare il più possibile un insostenibile incremento nell’utilizzo dell’auto privata. Il documento descrive una fase 2 in avvio dal 4 maggio – con una riapertura limitata di commercio e attività produttive e una ripresa graduale dei servizi di trasporto pubblico locale – e una fase 3, con inizio eventuale a settembre, caratterizzata dalla riapertura delle attività didattiche e una ripresa massiccia di tutto il tessuto produttivo, commerciale e professionale. Sarà questo il vero banco di prova del sistema.

Dal punto di vista operativo le fasi 2 e 3 poggiano su sei pilastri di azione, a loro volta legati a tre precondizioni: smart working, ridefinizione orari delle città e del lavoro, regole di sicurezza e distanziamento. Secondo ASSTRA, nel corso della fase 2 ci si attende un utilizzo del mezzo di trasporto pubblico per motivazioni legate al lavoro e a situazioni di necessità. Alla luce dei dati a disposizione si prevede che nelle fasi emergenziali la domanda di mobilità pubblica potrebbe subire una riduzione di circa il 50%. Sul fronte dell’offerta di servizi, in vista della graduale riapertura dal 4 maggio, si è discusso del distanziamento con diverse opzioni: il rispetto della distanza di due metri tra le persone, oppure un distanziamento di un metro, in entrambi i casi con l’obbligo di indossare la mascherina, la terza con il solo obbligo di indossare la protezione individuale. In concreto, la prima opzione comporta un’offerta massima media del 20% di posti, mentre nel secondo caso l’offerta può arrivare al 30% per autobus urbani/extraurbani e circa del 50% per treni regionali rispetto ai livelli di offerta pre-Covid.

Il presidente di ASSTRA Andrea Gibelli in diverse interviste e webinar ha richiesto con forza la terza opzione, anche sulla base di analoghe misure di altri paesi come la Germania. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha deciso nelle nuove Linee guida del settore per l’avvio della fase 2 emanate il 26 la distanza di un metro tra gli utenti, obbligo di mascherina, rafforzamento del servizio negli orari di maggiore afflusso per consentire il distanziamento, ingressi e uscite differenziate, massiccio uso di app, sistemi di prenotazione e pagamenti online dei biglietti. Secondo ASSTRA la “rigida applicazione di questa regola, oltre a non essere compatibile con la conformazione dei mezzi di trasporto pubblico, determinerebbe, pur in presenza di una domanda sensibilmente ridotta, l’insufficienza della offerta di trasporto.” È probabile che la sperimentazione che si avvierà dal 4 maggio, la reazione e l’uso del TPL da parte degli utenti, la graduale riapertura di ulteriori attività prevista dal 18 maggio, l’andamento della curva del contagio, richiederanno ulteriori verifiche che potranno o meno allentare l’attuale distanza di un metro per gli utenti.

Essenziali per la mobilità regionale e metropolitana sono i servizi ferroviari locali, che dovranno gradualmente riaprire, ovviamente con regole di distanziamento, controllo degli accessi nelle stazioni, sanificazione e protezioni personali per utenti e lavoratori. Pensando agli assembramenti su molti treni regionali nelle ore e giornate di punta, si sta pensando addirittura a un sistema di prenotazione del posto.

La Regione Toscana ha annunciato che “nella fase 2 i treni in circolazione passeranno dal 30% al 55% del servizio ordinario”, con un aumento di 100 treni rispetto alla fase uno del numero dei treni in transito su tutto il territorio regionale. A dirlo è l’Assessore ai Trasporti Vincenzo Ceccarelli al termine di una video-riunione con i vertici regionali di Trenitalia. Nella Regione Lazio l’Assessore ai Trasporti ha dichiarato che “Cotral ha già pronto un piano operativo per portare il servizio dal 50% all’80% con la fase 2. Trenitalia Lazio si è impegnata a superare il 50% della sua operatività per la fase di riapertura. Al fianco di questo è chiaro che serviranno misure di alleggerimento del traffico dei pendolari come l’utilizzo dello smart working e un Piano Regolatore degli orari delle attività”.

In Lombardia la società Trenord ha annunciato di poter trasportare nella fase due il 30-40% dei passeggeri che venivano veicolati prima dell’emergenza Coronavirus, ma questa utenza deve essere spalmata nell’arco della giornata. Trenord trasportava nella fase pre-Covid 820mila pendolari al giorno, ma 350mila di questi, il 42,7% del totale, si concentravano in sole 4 ore di servizio: dalle 6 alle 8 e dalle 17 alle 19. Tutto ciò nella fase 2 non potrà avvenire, bisognerà valorizzare le fasce di morbida, come quella tra le 10 e le 16, con un piano concordato degli orari di imprese e servizi e con gli utenti.

Ma tutto questo potrebbe non bastare: vanno immaginati servizi dedicati e flessibili, promossi ed elaborati dai Mobility Manager aziendali, scolastici, di area, che mettano in relazione il numero di spostamenti e la loro distribuzione temporale con una gestione condivisa dell’auto privata e promuovendo al contempo l’istituzione di servizi di trasporto collettivi dedicati ai dipendenti, soluzione a cui le aziende di trasporto stanno già pensando come risposta alla situazione corrente.

Da queste prime considerazioni è evidente che il trasporto collettivo, già debole in Italia, subirà un duro colpo e la preoccupazione dei cittadini per il contagio resterà a lungo. Andranno messi in sicurezza nell’immediato i conti delle aziende per evitare fallimenti e perdita di posti di lavoro, poi si dovrà investire nell’adeguamento e potenziamento del servizio per le fasi due e tre. Anche in questo campo non si deve rinunciare in prospettiva a rafforzare il servizio, ad adeguare il parco mezzi in direzione dell’elettrificazione, a innovare i servizi di mobilità e a integrarli con le altre modalità di trasporto, a puntare sui pagamenti online e nuovi servizi flessibili, innovativi e dedicati.