Top menu

Una tassa sul patrimonio delle banche

Ragioni politiche ed economiche a sostegno della proposta di tassare gli stati patrimoniali delle banche. Una misura che potrebbe far incassare circa 2 miliardi di euro, aiuterebbe a stabilizzare il sistema finanziario e riequilibrerebbe il peso della crisi

A seguito del meeting G20 di Pittsburgh nel 2008, i governi richiesero al FMI di preparare un rapporto riguardo alle diverse possibilità in cui il settore finanziario potesse contribuire ai costi sostenuti per la sua stessa stabilizzazione. Il rapporto [1] successivamente presentato dal FMI sosteneva che tale “contribuzione per la stabilità finanziaria” dovesse assumere la forma di un’imposta, la cui base imponibile fossero gli stati patrimoniali delle istituzioni finanziarie. Tale scelta fu giustificata sulla base della facilità di attuazione nonché diretta connessione con i “sintomi” del rischio sistemico generato da alcune di queste istituzioni, quali l’eccessiva dimensione o l’interconnessione internazionale di alcune banche “too big to fail”.

Nonostante il rapporto ne sottolineasse l’importanza, la mancanza di un coordinamento internazionale nell’attuazione di tale tassa ha impedito un’attuazione di tale misura su scala globale, al contrario ad esempio della tassazione sulle transazioni finanziarie – la celebre Tobin Tax – recentemente approvata dal Consiglio dell’Unione europea [2]. Molti Stati hanno tuttavia individualmente approvato tasse di questo tipo. Ad esempio il Regno Unito ha introdotto nel 2011 un’imposta sulle passività delle banche oltre i 20 miliardi di sterline (circa 23 miliardi di euro) [3]. Simili iniziative sono state adottate in Francia, Germania e Paesi Bassi. L’Italia è uno dei pochi paesi a non aver adottato misure simili [4].

Eppure anche in Italia una misura potrebbe essere utile per due ordini di motivi. Il primo è di natura politico-sociale. Anche in Italia le banche, nonostante non si siano lanciate in cartolarizzazioni come negli Stati Uniti o non abbiano finanziato bolle immobiliari come in Irlanda, Spagna e Regno Unito, nella decade prima della crisi hanno esteso le loro operazioni oltre le tradizionali operazioni di credito e raccolta. Il caso MPS, al di là degli aspetti penali e dall’influenza dei partiti, ha origine infatti in operazioni di fusione / acquisizione – nel caso specifico la scalata ad Antonveneta – risultate poi fallite e che hanno portato a varie operazioni di “soccorso” per coprire le perdite [5]. Negli anni precedenti la crisi del 2008 fusione e acquisizione nel mercato bancario sono state comuni, e il conseguente crollo dei titoli azionari ha creato non pochi problemi a tutte le maggiori grandi banche [6]. Senza contare che l’espansione in alcuni mercati dell’Est Europa ha creato non pochi problemi nel 2008-2009 quando la crisi anche in quei paesi si è fatta sentire [7]. Inoltre, a prescindere dal ruolo nella trasmissione e amplificazione della crisi, le banche italiane rappresentano una fondamentale forza economica nel paese, e le operazioni del governo a loro sostegno hanno comportato interventi pari al 5.5% del PIL italiano, certamente non paragonabili alle spese di altri paesi europei o degli Stati Uniti, ma pur sempre considerevoli [8]. Per parafrasare Bersani, è lecito che “chi ha (ricevuto) di più, contribuisca di più”.

Il secondo ordine di motivi è di tipo prettamente economico. La tassa andrebbe infatti inquadrata all’interno di una più vasta operazione volta a ridurre i costi del debito pubblico e stabilizzare i mercati finanziari. Come propongono Bellofiore e Toporowski [9], il governo potrebbe infatti emettere una grande quantità di titoli a breve termine (i nostri Bot) con cui finanziare un’operazione di acquisto di Btp, provocando così un aumento dei prezzi di tali titoli. Una politica analoga è stata compiuta dalla Fed, con l’obiettivo di abbassare i tassi di interesse a lungo termine [10]. Questa operazione avrebbe un effetto positivo sul sistema bancario, poiché la rivalutazione provocherebbe miglioramento degli attivi delle banche e la possibilità di poterli vendere a prezzi di mercato crescenti nel caso di problemi di liquidità, e abbassando i tassi di interesse a lungo termine potrebbe favorire l’estensione del credito alle imprese. Inoltre l’abbassamento dei tassi di interesse – e di conseguenza dello spread – sui Btp offrirebbe la possibilità allo Stato di finanziarsi per operazioni di più lungo termine. In questo modo si potrebbero finanziare più facilmente investimenti pubblici necessari a rilanciare l’economia o altre simili operazioni, come la proposta di Bersani di ripagare i debiti della PA tramite emissione di Btp [11]. La tassa sarebbe così una sorta di “ticket” che le banche pagherebbero per un’operazione di stabilizzazione del sistema a finanziario.

Una simile tassa avrebbe peraltro costi limitati e potrebbe favorire un ruolo più positivo delle banche per la crescita. Tassare gli stati patrimoniali delle banche, infatti, non riduce sensibilmente la possibilità per le banche di fare credito. In primo luogo, l’abbassamento dei tassi di interesse e la stabilizzazione del sistema finanziario renderebbero l’ambiente più favorevole all’estensione del credito in generale. Inoltre, la tassa andrebbe formulata in modo tale da incoraggiare il credito produttivo, ad esempio aggiungendo detrazioni dalla base imponibile per credito alle piccole e medie imprese e/o alle famiglie. Infine, si tratterebbe di tasse con aliquote molto basse. Al contrario delle politiche di austerità, tassare gli stati patrimoniali delle banche avrebbe quindi un impatto diretto negativo davvero minimo sulla crescita come lo stesso rapporto iniziale del Fmi suggeriva.

Quanto si potrebbe ottenere da una tassa del genere? Le banche italiane in aggregato (quindi includendo banche commerciali, banche d’affari, e cooperative) avevano attività, secondo i dati della Banca d’Italia [12], pari a circa 4200 miliardi di euro a dicembre 2012. Applicando un’aliquota bassa dello 0,03%, l’aliquota applicata in Germania sulle banche di media grandezza, si otterrebbe un gettito di circa 2,1 miliardi di euro. Non si tratta certamente di cifre da capogiro, ma nemmeno irrisorie. Si tratterebbe poi di una cifra importante ma non eccessiva per i redditi del settore bancario: secondo i dati Ocse [13], nel 2009 – annus horribilis per le banche di tutto il mondo – , i profitti delle banche italiane ammontavano a circa 11 miliardi di euro a fronte di attività 3400 miliardi di euro: questo porterebbe ad un gettito di circa 1.2 miliardi, ovverosia circa il 10% dei profitti. Ma se si prende un anno migliore come il 2006 tale rapporto passa al 3%. Naturalmente si potrebbe progressivamente aumentare l’aliquota in modo da dare alle banche il tempo di adeguare le loro operazioni alle nuove imposizioni fiscali, come ad esempio è stato fatto in Regno Unito, dove dal 2013 l’aliquota per la parte di passività a breve termine è dello 0,105%. Toporowski e Bellofiore suggeriscono cifre ancora più alte intorno all’1-1,5%.

In sintesi adottare una tassa sugli stati patrimoniali delle banche:

1) è un’operazione politicamente sensata, poiché farebbe contribuire in maniera diretta il settore più direttamente legato alla crisi;

2) in particolare costituirebbe un contributo nell’ambito di un più vasto programma mirato ad abbassare i tassi di interesse a lungo periodo;

3) favorirebbe un ruolo positivo del credito bancario, oggi più che mai necessario a rilanciare l’economia;

4) non imporrebbe un costo eccessivo sulle banche.

Naturalmente tutto questo non è sufficiente per far ripartire la crescita: la fine delle politiche di austerità in sede europea e il cambiamento del comportamento Bce come prestatore di ultima istanza sono senza dubbio elementi ben più fondamentali. Rimane comunque utile pensare a strategie che i singoli Stati possono adottare per provare a stabilizzare il sistema finanziario e gestire in modo più “creativo” il proprio debito pubblico. Tassare gli stati patrimoniali delle banche può essere una parte importante di questo progetto.

[1]www.imf.org/external/np/g20/pdf/062710b.pdf [2]www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/134949.pdf [3] Le aliquote in vigore dal 2012 in poi sono 0,088% per le passività a breve termine e 0,0375% per quelle a lungo termine www.kpmg.com/Global/en/IssuesAndInsights/ArticlesPublications/Documents/bank-levy-9v2.pdf [4]http://archive.nbuv.gov.ua/portal/Soc_Gum/VUABS/2012_2/33_03_01.pdf [5]http://temi.repubblica.it/micromega-online/brancaccio-monte-paschi-e-solo-la-punta-delliceberg/ [6]http://keynesblog.com/2013/02/01/monte-dei-paschi-una-privatizzazione-disastrosa/ [7]http://archivio.lavoce.info/articoli/pagina1001052.html [8]http://opendatablog.ilsole24ore.com/2012/07/dopo-il-crack-lehman-spesi-4-700-miliardi-per-il-salvataggio-delle-banche/#axzz2NRH9eF28 [9]www.criticamarxista.net/articoli/5_2011bellofiore.pdf [10] www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-20/lascia-tassi-fermi-amplia-183507.shtml’uuid=AbwoJavF [11]www.huffingtonpost.it/2013/02/06/elezioni-2013-ora-tocca-a-bersani-fare-la-proposta-shock-50-miliardi-di-btp-ripagare-imprese_n_2632234.html [12]www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/pimsmc/2013/sb12_13/en_suppl_12_13.pdf [13]http://stats.oecd.org