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Tom Benetollo, la democrazia della luce

Non sem­brano dieci anni che Tom Bene­tollo è man­cato. Forse per­ché non ci è dav­vero mai «man­cato», nel senso di scom­parso dalla vita dell’Arci: strug­gente nostal­gia per quando era a nostro fianco, que­sto sì, ma ancora pre­sente in ogni momento dell’associazione. Per­ché non solo sem­pre ricor­dato nelle cele­bra­zioni, ma anche nella vita quo­ti­diana.

benetollo_bianiNon sem­brano dieci anni che Tom Bene­tollo è man­cato.

Forse per­ché non ci è dav­vero mai «man­cato», nel senso di scom­parso dalla vita dell’Arci: strug­gente nostal­gia per quando era a nostro fianco, que­sto sì, ma ancora pre­sente in ogni momento dell’associazione. Per­ché non solo sem­pre ricor­dato nelle cele­bra­zioni, ma anche nella vita quo­ti­diana.

Qual­cuno potrebbe dire che si è creato il mito di Tom Bene­tollo. Per certi versi è vero, ma que­sto non è affatto un dero­ga­tivo: Tom ha avuto tutti i meriti per diven­tare il mito dell’Arci.

Solo che que­sta con­sa­cra­zione non gli si addice, per­chè era il con­tra­rio del tipo di per­sona che diventa mito. Tom è stato infatti sopra­tutto un com­pa­gno, nel senso più pieno della parola.E il senso di que­sto ter­mine ce lo aveva spie­gato bene e con grande sem­pli­cità quando ci aveva pro­po­sto come figura sim­bo­lica il «lam­pa­diere». Che è colui che non tiene la lam­pada in modo che il rag­gio di luce sia pro­iet­tato davanti ai suoi piedi, ad illu­mi­nare il pro­prio cam­mino, ma chi lo rivolge all’indietro, per­chè quel che importa non è che veda una spa­ruta avan­guar­dia ma tutti, anche l’ultimo. Il con­tra­rio di quanto ogni giorno il sistema in cui viviamo ci sug­ge­ri­sce, tutto fon­dato come è sull’idea che occorre «far­cela», e non importa se al prezzo di cal­pe­stare chi ti sta vicino, nell’assunto che libertà coin­cida con individuo.

Que­sta è stata la demo­cra­zia che Tom ha pra­ti­cato — e inse­gnato : garan­tire a tutti la luce per ridurre al mas­simo la distanza fra chi dirige e chi è diretto, così ren­dendo pos­si­bile la con­di­vi­sione del sapere e dell’informazione. Che è poi il solo modo di assi­cu­rare ugua­glianza reale, per­chè rende pos­si­bile che il giu­di­zio di cia­scuno conti davvero.

Quando Tom è morto col­pito da un ictus improv­viso pro­prio men­tre par­te­ci­pava ad un’iniziativa pro­mossa da il mani­fe­sto, molti dei let­tori attuali del quo­ti­diano erano ancora ragazzi. A dif­fe­renza dei loro coe­ta­nei che mili­tano nell’Arci e per­ciò ne cono­scono bene la sto­ria, di Tom hanno molto pro­ba­bil­mente una cono­scenza assai vaga. Vor­rei bre­ve­mente rac­con­tarlo, a par­tire dalla mia diretta conoscenza.

Io Tom l’ho incon­trato quando non era ancora ini­ziato il suo impe­gno diretto nell’Arci, alla fine degli anni ’70. Ero iscritta al Pdup (il par­tito nato dalle viscere de Il mani­fe­sto), lui al Pci. All’epoca que­sto voleva dire: dif­fi­denza reci­proca. E però i tempi si erano fatti già più civili di quanto non fos­sero stati quando noi era­vamo stati radiati da quel par­tito, il dia­logo era ammesso. E così con Tom ci siamo par­lati.

Io ero parec­chio più anziana, ma gra­zie alla straor­di­na­ria retro­ces­sione gene­ra­zio­nale di cui noi vec­chi del mani­fe­sto godemmo per via dell’incontro col ’68, fre­quen­tavo ancora gli stessi luo­ghi poli­tici di Tom quando lui stava nella Fgci. E anche lui con­ti­nuò a bat­tere le strade delle orga­niz­za­zioni gio­va­nili quando non ne ebbe più l’età ed era «pas­sato» al Par­tito. Per­ché nel par­tito adulto aveva avuto l’incarico di respon­sa­bile della «pace». E, si sa, la pace è cosa da ragazzi. Gli anziani si occu­pano di poli­tica inter­na­zio­nale, che è cosa noto­ria­mente diversa, più «seria», più «respon­sa­bile», tant’è vero che può per­sino pren­dere in con­si­de­ra­zione la guerra. Ma poi­ché la «pace» era una sot­to­se­zione della poli­tica adulta, quella «inter­na­zio­nale», Tom si trovò in bilico. Diven­tammo quasi amici per via di que­sta «dop­pia appar­te­nenza»: io quella gene­ra­zio­nale, lui quella dell’apparato di Bot­te­ghe Oscure.

Per far sal­tare quel «quasi» ci vol­lero ancora un po’ di anni di reci­proco annu­sa­mento, in cui si sono intrec­ciati sospetto e affetto cre­scente. Che durò anche quando dopo 15 anni rien­trai con i com­pa­gni del Pdup nel Pci e però feci una certa fatica a ria­bi­tuarmi alle rigide disci­pline di quel par­tito. Tant’è vero che mi azzar­dai, senza chie­dere il per­messo a nes­suno, a pro­ce­dere ad un auto­nomo impe­gno nell’End (Euro­pean Nuclear Desar­me­ment) e a pro­porre la crea­zione in Ita­lia di una vera Asso­cia­zione per la pace, che uni­fi­casse, come altrove, i tanti dispersi gruppi pacifisti.

Tom, in quanto respon­sa­bile «pace» del Par­tito, avrebbe dovuto vigi­lare sui miei com­por­ta­menti; e invece non solo non provò mai a far pre­va­lere sul movi­mento — che chie­deva passi uni­la­te­rali di disarmo da ambo le parti – le ben più pru­denti posi­zioni della sezione inter­na­zio­nale del PCI, ma anzi, del movi­mento, Tom sposò fino in fondo la causa, l’orientamento, i comportamenti,i nuovi modi di far poli­tica. È allora che si saldò fra noi un’amicizia inos­si­da­bile. Insieme abbiamo riso quando Popov, respon­sa­bile brez­ne­viano della sovie­tica unione per la pace ci accusò pub­bli­ca­men­tre di essere agenti della Cia, e, con­te­po­ra­nea­mente que­sta di essere agenti del Kgb.

Guar­dati con dif­fi­denza, ad ogni buon conto, anche da chi pre­fe­riva che il ben ordi­nato mondo diviso in bloc­chi non fosse tur­bato da stra­va­ganze gio­va­nili e terzomondiste.

Con quel movi­mento paci­fi­sta dell’End sco­primmo anche l’Europa. E infatti Tom fu uno dei pochi che già da allora comin­ciò a pen­sare euro­peo, anche quando le guerre cam­bia­rono aspetto e diven­ta­rono più dif­fi­cili da inter­pre­tare: quella ira­chena, quella jugo­slava, nelle cui vicende il suo impe­gno per­so­nale fu grandissimo.

Non era affatto scon­tato: il super-europeismo della sini­stra ita­liana aveva infatti pro­dotto molti incon­tri di ver­tice, atten­zione all’ingegneria isti­tu­zio­nale, con­ve­gni. Assai poca par­te­ci­pa­zione alla vita della società civile euro­pea, scam­bio di cul­ture, crea­zione di movi­menti comuni e impe­gno comune nelle sca­denze di lotta. Tom seppe dare que­sta dimen­sione alle orga­niz­za­zioni in cui è stato impe­gnato, all’Arci in primo luogo

Ma Tom si aprì anche a un nuovo rap­porto con l’America, quella della bat­ta­glia per i diritti civili e con­tro le guerre. Non fu solo la ricerca poli­tica di alleanze, fu anche curio­sità intel­let­tuale per una cul­tura di cui divenne cono­sci­tore attento. E infatti ci ha lasciato un pre­zioso libro su Mar­tin Luther King, pur­troppo pub­bli­cato postumo.

Con tante discus­sioni che in que­sti anni si sono mol­ti­pli­cate sul rap­porto partiti-movimenti, il vis­suto di Tom è stata la lezione più sag­gia: per l’intelligenza dimo­strata nel gestire il dif­fi­cile rap­porto fra la ricca ma spesso con­fusa nebu­losa movi­men­ti­sta e le isti­tu­zioni tra­di­zio­nali della sini­stra. Lui sapeva che que­ste isti­tu­zioni erano impor­tanti, ma lui stava nel movi­mento. Per que­sto è stato un grande pre­si­dente dell’Arci.