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Sgravi alle imprese, il bluff dell’estate

Tremonti si affida agli sgravi per gli utili reinvestiti: una manovra discutibile, poco utile e di minima entità, rispetto agli interventi delle altre economie del mondo

Il decreto legge (d’estate) del governo Berlusconi approssimativamente ammonta a 5 mld di euro ed è suddiviso in molti provvedimenti che limitano l’impatto macroeconomico. Se analizziamo i provvedimenti anticiclici adottati dal governo prima e dopo questo decreto legge, complessivamente il governo italiano ha destinato un ammontare di risorse pari allo 0,3% del pil prima del decreto, e un altro 0,3% del pil con il decreto. Sostanzialmente il governo ha impegnato risorse finanziarie per affrontare la crisi pari allo 0,6% del pil, cioè risorse inadeguate per avvicinare la maggior parte degli interventi realizzati da altri stati.

Manovra discrezionale in % del pil (FMI, marzo 2009)

USA

5,9

Cina

4,8

Spagna

4,5

Germania

3,4

Canada

2,8

Giappone

2,2

Russia

1,7

GB

1,5

Francia

0,7

Italia

0,3

Se la crisi finanziaria condiziona le prospettive economiche di tutti i paesi di area Ocse, per l’Italia si osserva una doppia crisi. Da un lato (1) subisce la crisi internazionale come tutti gli sati in ragione della diminuzione del commercio internazionale dovuta alla contrazione della domanda internazionale, dall’altro (2) si manifesta e approfondisce la distanza dagli altri paesi in termini di crescita del pil. Se fino all’anno 2000 la minore crescita del pil italiano rispetto alla media dei paesi di area euro era pari a 0,5 punti di pil, alla fine dell’anno 2008 la minore crescita strutturale del paese rispetto all’area euro è ormai saldamente sopra a 1 punto percentuale di pil. Sostanzialmente l’Italia attraversa una doppia crisi: la prima legata al ciclo internazionale, la seconda, ben più grave, legata alla struttura produttiva che non consente di agganciare la crescita economica dei paesi di area euro. Tra il 1997 e il 2008 l’Italia cresce meno rispetto all’UE (15) di 11,6 punti percentuali.

Le prospettive per il 2009 e il 2010 sono ancora tutte da verificare, ma data la struttura produttiva del paese e la costante divergenza della crescita del pil rispetto alla media dei paesi euro, la crescita o non crescita del pil del paese sarà più bassa di un ulteriore punto percentuale rispetto all’UE (15).

L’idea di incentivare gli investimenti, cioè applicare uno sconto fiscale del 50% per gli utili reinvestiti e modificare gli ammortamenti degli investimenti per stimolare l’introduzione di nuove e più appropriate tecnologie, sembra dettata da buon senso, ma ha degli effetti macroeconomici tutti da analizzare. Per alcuni versi queste misure rischiano di indebolire ulteriormente il paese. L’idea di “limitare” il raggio d’azione degli incentivi fiscali e degli ammortamenti ha una giustificazione, cioè quella di stimolare gli investimenti in beni strumentali, cioè quelle attività anticicliche che stimolano la riconfigurazione della struttura produttiva aggiornandola al nuovo assetto accumulativo industriale. Ciò presuppone che sul territorio nazionale sussistano delle competenze nella produzione di questi beni strumentali e per questa via si rafforzi la struttura produttiva a monte dei processi produttivi, che per definizione contengono un maggior contenuto cognitivo e di capacità di creare valore aggiunto, rispetto ai beni intermedi e di consumo.

Purtroppo questo appare più come un auspicio che una possibilità concreta, se non in limitate e ben circoscritte attività produttive. Infatti, nel corso degli ultimi 5 anni il settore delle macchine utensili-strumentali ha ceduto posizioni nel commercio internazionale a vantaggio della Cina (proprio la Cina), che ha scavalcato l’Italia facendola retrocedere al 4° posto.

Per non parlare delle diversa tempistica degli ammortamenti tesa a promuovere energia rinnovabile o la conoscenza. L’Italia continua a importare tecnologia. Data la specializzazione produttiva non potrebbe fare diversamente. Il caso dei pannelli solari è paradigmatico: il 100% dei pannelli solari è importato o prodotto da imprese estere che operano nel paese.

Forse sarebbe stato molto più saggio agganciare allo sgravio fiscale alcune condizioni. La prima è legata alla reale capacità di generare quella competenza tecnica, evitando il fenomeno dell’adattamento della tecnologia realizzata al di fuori del nostro paese, la seconda è quella di stimolare degli investimenti aggiuntivi rispetto che si sarebbero fatti senza gli incentivi. Diversamente siamo in presenza di una pura elusione fiscale.

Per le imprese il vantaggio da questi provvedimenti è abbastanza discutibile. Infatti, il 59% delle imprese per il 2008 dichiara utili negativi, quindi tecnicamente queste imprese sono poco interessate ai provvedimenti, mentre dal lato delle compensazioni IVA potrebbero registrarsi delle sorprese. Infatti, l’Italia non solo registra una evasione endemica di questa imposta, ma è anche il paese in cui sono più basse le imposte sui consumi rispetto alla media dei paesi europei. In qualche modo le imprese usano i crediti IVA come bancomat, e se il governo riuscisse ad approfondire questo passaggio, nonostante il probabile scudo fiscale, si potrebbe ri-aprire un capitolo importante di redistribuzione del carico fiscale che rimane per intero (44%) a carico del lavoro dipendente.