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Referendum, le ragioni del No

Il risultato della riforma costituzionale, in caso di vittoria del Sì al referendum del 4 dicembre, è lo squilibrio totale tra il potere esecutivo e quello legislativo a favore del primo

La revisione costituzionale operata dalla legge Renzi Boschi non è una invenzione dell’ultimo momento. Il che è un’aggravante non certo un’attenuante. Infatti essa traduce nel nostro paese una tendenza delle classi dominanti a restringere il collo della bottiglia della democrazia fin dall’immediato dopoguerra. Nel 1947 sorge la cd. Mont Pelerin Society, che tutt’ora si riunisce periodicamente, fondata da economisti e filosofi di chiara fama, come Ludwig Von Mises, Friedrich Von Hayek, Milton Friedman, Walter Lippmann, Karl Popper, per citare solo i più celebri. Seguiranno poi il gruppo Bilderberg; la più nota Trilateral Commission fondata da Rockfeller nel 1973, non a caso alla vigilia del colpo di stato in Cile; la Loggia P2 e altri ancora. Tutte queste società più o meno segrete si prefiggevano di trovare il modo per ridurre la complessità della domanda sociale o perlomeno impedire che essa potesse intralciare l’azione del governo e soprattutto diventare un vincolo per i mercati e implementare le dottrine neoliberiste. L’elaborazione di Niklas Luhmann cercò di dare dignità culturale a questo filone di pensiero, coerente con la trasformazione del capitalismo tradizionale in quel finanzcapitalismo, per usare la felice espressione di Luciano Gallino, che ha in odio i meccanismi della democrazia e sogna una governance – parola non a caso importata dal linguaggio delle imprese – sostanzialmente a-democratica nella quale chi comanda possa prendere decisioni rapide e incontrastate.

Da ultimo è stato proprio il famoso documento della JP Morgan, del 28 maggio del 2013, a indicare la necessità di cambiare le costituzioni del sud dell’Europa, viziate da “idee socialiste” e nate dall’antifascismo. Il giorno dopo, il 29 maggio, le nostre Camere votavano una mozione a larghissima maggioranza che impegnava il governo a presentare un disegno di legge costituzionale in deroga alla prassi prevista dall’art. 138 Cost. Allora era presidente del consiglio Enrico Letta, poco dopo messo da parte da Renzi, proprio perché poco decisionista. Ha inizio così l’invasione di campo del governo in una materia che non è la sua, come la revisione della Costituzione, uno strappo che contraddice il comportamento dell’Esecutivo ai tempi della Costituente nel 1947.

Non solo, il parlamento che poi ha votato la Renzi-Boschi è illegittimo costituzionalmente. Tale è stato giudicato dalla Consulta con la sentenza 1/2014 che giudicava incostituzionale il Porcellum. Anziché gestire l’ordinaria amministrazione e fare una nuova legge elettorale nel senso indicato dalla stessa Corte, questo parlamento, su spinta esplicita di Giorgio Napolitano, allo scopo rieletto una seconda volta Presidente della Repubblica, ha messo mano alla più grande revisione della Costituzione mai operata: 47 articoli, quasi tutta la seconda parte, che trattando delle istituzioni che dovrebbero mettere in pratica i principi della prima parte influisce negativamente anche su questa.

Ne è risultato un testo a tratti confuso e illeggibile, ma dal segno chiaro, come ha dichiarato lo stesso Sergio Marchionne. Il Senato resta ma non è più una assemblea elettiva; l’iter legislativo delle leggi diventa più complicato; il governo può in ogni momento imporre alla camera di discutere con voto a data certa un proprio disegno di legge, il che si aggiunge ai decreti legge; l’elezione del Presidente della Repubblica (ma anche la possibilità di metterlo in stato d’accusa) diventa dopo il settimo scrutinio un affare della maggioranza, quindi di un solo partito. Insomma il risultato è lo squilibrio totale tra il potere esecutivo e quello legislativo a favore del primo. La democrazia parlamentare sparisce e al suo posto si instaurerebbe una oligarchia sotto l’ala protettiva dei poteri finanziari internazionali.

L’effetto congiunto dell’Italicum e della riforma costituzionale rendono bene chiaro questo progetto. Infatti il premio di maggioranza spropositato dato a un partito che ha solo la migliore minoranza tra l’elettorato effettivo cancella il principio di rappresentanza a favore di quello della governabilità, violando lo stesso principio della sovranità popolare e della uguaglianza del voto contenuti nella prima parte della Costituzione. Il lodo recentemente firmato nel Pd serve a Renzi per tacitare parte della sua minoranza interna, ma non ha nessun valore cogente rispetto ad una modificazione dell’Italicum che nel frattempo è già legge e su cui lo stesso governo ha chiesto tre volte la fiducia.

Solo la vittoria del NO il 4 dicembre può riaprire un nuovo spazio per l’allargamento della democrazia nel nostro paese e nel sud dell’Europa.