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Non solo braccia. Immigrati e specializzati

Cresce il lavoro qualificato degli stranieri e dei loro figli. Un’analisi delle tendenze demografiche ed economiche, a partire dai numeri del Piemonte

Crescono i casi di aggressione a migranti, più scuri o più chiari di noi, stranieri o cittadini che siano. Attriti ci sono sempre stati, ma si trattava per lo più di guerre tra poveri. Le norme peggiorano; i diritti diminuiscono; la situazione di quel milione di persone che manteniamo nel limbo dell’attesa di un permesso per un anno o più è a rischio. Ma qual’era, qual è la situazione attuale, la tendenza sul mezzo secolo? Cosa sta cambiando, cosa potrebbe cambiare?

Nel 2001 un opuscolo dell’Onu segnalava la difficoltà di molti paesi industrializzati a mantenere il rapporto tra popolazione attiva e popolazione dipendente, anche in presenza di immigrazione, per la diminuzione della natalità e della fertilità.

L’ipotesi centrale per l’Italia prevedeva 18 milioni di migranti o figli di migranti – residenti esogeni in ogni caso – per mantenere la popolazione tra il 2000 e il 2050. L’immigrazione, e immigrazione di popolamento, non puramente di lavoro, è quindi una necessità assoluta dell’Italia.

Ma come stanno andando le cose nella realtà, dato che sono passati quasi 8 anni da quello studio? Come previsto. Anzi con qualche accentuazione perché in realtà il numero dei migranti in arrivo mantiene, abbastanza esattamente, la popolazione in età di lavoro, mentre, come sappiamo, la popolazione residente totale, lentamente, cresce e quella residente autoctona diminuisce.

Chiunque può fare l’esercizio di confrontare, per la propria regione o provincia, o comune, la popolazione residente tra i 15 e i 65 anni con la popolazione residente tra 0 e 50 anni, cioè la popolazione in età di lavoro oggi con il massimo assoluto, il tetto irraggiungibile, della popolazione in età di lavoro tra 15 anni, in assenza di nuovi immigrati.

Se si fa l’esercizio per il Piemonte (www.regione.piemonte.it), si trova che la popolazione in età di lavoro al 31/12/07 era di 2.894.919, mentre tra 15 anni scenderà sotto i 2.596.000. Ci saranno circa 300.000 residenti in età di lavoro in meno. In effetti, per tener conto dei morti e delle uscite, i lavoratori potenziali mancanti saranno almeno 350.000.

Per fortuna, nel 2006, il saldo positivo, iscritti meno cancellati, degli stranieri nelle anagrafi piemontesi è stato di 20.700. Possiamo tirare un respiro di sollievo. Non proprio tutti i mancanti, ma 300.000 persone in 15 anni arriveranno, se tutto va bene.

E cosa fanno gli stranieri che arrivano, oltre che togliere il sonno ai nazionalisti e subnazionalisti, agli uomini d’ordine, ai baristi, ai droghieri e ai giovani frequentatori della notte, che li incrociano all’uscita delle discoteche o ai murazzi del Po? Intanto si iscrivono a scuola, perché i migranti sono giovani, rappresentano una percentuale importante degli iscritti alle primarie e alle secondarie di primo livello, e crescente degli iscritti alle secondarie di secondo livello.Poi, oltre che fare le serve, le badanti e i manovali, salgono anche di livello.

Le tendenze in atto

La salita di livello del lavoro dei migranti si nota in vari indicatori.

E’ in atto da tempo e si è accentuata negli ultimi 5-6 anni l’importazione di infermiere ed infermieri. Cinque o sei anni fa capitava che le infermiere pagassero una cifra introno ai 2000 euro per essere immesse negli elenchi di un’agenzia che le passava ad una cooperativa o agenzia italiana che trovava loro un letto in un alloggio e le collocava presso una casa di cura o una clinica privata o in subappalto in un ospedale pubblico.

Poi le agenzie italiane hanno comprato curricula, anche per qualche migliaio di euro, da collocare in Italia. Oggi le agenzie si sono internazionalizzate, hanno filiali nell’Europa orientale e in America latina e assumono direttamente da lì, per accaparrarsi infermiere, scarse su scala planetaria. Le infermiere hanno avuto finestre apposite nei decreti flussi. Il loro numero cresce costantemente, anche tra i dipendenti degli ospedali pubblici, da quando la Romania è entrata nella Unione europea. E le figlie delle badanti si iscrivono alle facoltà di scienze infermieristiche, perché all’uscita il lavoro è sicuro.

Nell’edilizia, secondo i dati della Camera di Commercio, in Piemonte il numero di aziende intestate a stranieri ha raggiunto il 49%, metà intestate a romeni, seguiti da marocchini e albanesi. Questo vuol dire che quasi la metà dei muratori, autonomi per forza, per come funziona l’edilizia, sono stranieri.

Anche nell’industria però il numero degli stranieri sale e ha raggiunto il 30% delle assunzioni nel 2007, in Piemonte (www.piemonteimmigrazione.it Rapporto Ires Piemonte 2007 p. 33). Secondo l’indagine Excelsior 2007, citata nel Rapporto, su 5.000 assunzioni previste di stranieri nell’industria il 49% era per posizioni con esperienza precedente. Sta crescendo il numero degli operai qualificati. In particolare c’è difficoltà a trovare saldatori, fresatori ed altri mestieri tradizionali. Cresce il numero di stranieri nei corsi di avviamento al lavoro, in particolare in meccanica.

Nel capitolo del Rapporto Ires sull’ingresso degli stranieri nelle professioni intellettuali si trovano dati interessanti. Nelle “professioni nei servizi sanitari” sono stranieri l’11,9% dei maschi e il 19,7% delle donne; tra gli “artigiani e operatori nell’industria estrattiva” sono stranieri il 19,7% degli uomini e il 30,6% delle donne; tra gli “artigiani e operatori metalmeccanici e assimilati” sono stranieri il 7,8% degli uomini e il 8,0% delle donne; tra gli “artigiani del tessile, abbigliamento, alimentare, legno” il 13,5% degli uomini e il 8,8% delle donne; e così ci sono percentuali al di sopra del 10% tra gli “operatori di macchinari fissi”, sia in agricoltura che nella lavorazione in serie.

E’ interessante che le aziende che assumono laureati e diplomati li assumono stranieri più o meno proporzionalmente.

Il doloroso equilibrio in cui si trovano gli stranieri e i loro figli – che si sentono, e sono, funzionalmente italiani – si regge sulla loro assoluta necessità, demografica e produttiva.

Nessuno, sembra, li vuole sui tram, nei bar, nelle balere o semplicemente in giro. Tutti li vogliono a pulire i pavimenti, badare i vecchi, cucinare, scavare buchi, fare case e saldare lamiere. E, come abbiamo visto, anche in attività qualificate.

Facciamo decreti per l’ingresso di centinaia di migliaia di persone che sono già qui ed hanno un contratto di lavoro ma non rileviamo correttamente le quantità necessarie e non assumiamo gli impiegati necessari per sbrigare le pratiche. Assumere è costi fissi, burocrazia, nefasto assistenzialismo; subappaltare alle poste, ai patronati, a cooperative è investimento, modernità. Che diamine!

Le prospettive

Ci sono elementi di instabilità nel sistema, che non potrà proseguire così. Non possiamo continuare a spazzare tutto sotto il tappeto.

Il primo è un elemento strutturale, demografico, che si manifesterà anche se tutto va bene, cioè nell’ipotesi improbabile che la crisi mondiale non ci coinvolga troppo. Oggi le ottantenni sono nate nel 1928, sono poche perché hanno avuto motivi seri per morire, da bambine e da adulte, e hanno fatto 2,5 figli ciascuna, nei primi anni ’50. Per ognuna di loro ci sono 1,25 figlie che le badano o prendono la decisione di assumere una badante e pagarla. Quando, nel 2030, avranno 80 anni le nate nel 1950, saranno molte, e, tra il 1975 e il 1980 avranno fatto 1,25 figli ciascuna. Ogni due ottantenni ci sarà più o meno una figlia di mezza età in grado di prendere la decisione di assumere una badante e, se possibile, di pagarla.

Mi scuso se ho fatto il ragionamento sulle vecchie, ma sono soprattutto le donne a superare gli 80 e a badare le madri. Non possiamo pensare di scaricare in eterno i nostri vecchi sulle figlie e sulle immigrate sottopagate.

Il secondo è un elemento emergente, che potrebbe sciogliere drasticamente e negativamente la contraddittorietà dell’atteggiamento degli italiani nei confronti degli immigrati. Potrebbe cadere la domanda di lavoro, per cominciare nell’edilizia, ma un po’ anche nell’industria. In Piemonte, la percentuale di stranieri nelle assunzioni nell’edilizia è caduta, dopo le olimpiadi, dal 43% al 26% per risalire nel 2007. La Spagna, dove la proiezione della disoccupazione, che è raddoppiato in anno, è al 16%, ha abbassato la saracinesca, malgrado il governo più a sinistra d’Europa.

Insomma le grida xenofobe, le violazioni di principi giuridici consolidati – come l’aggravante per irregolarità – la violenza sui luoghi di lavoro, potrebbero non cozzare più con la necessità assoluta di averli gli stranieri. Per le ragazze e i ragazzi nati qui, con un ottimo italiano, buone capacità nei rapporti sociali, persino con un mestiere, ma senza cittadinanza, non sarebbe un bel momento. Non lo sarebbe neppure per noi, perché quelle ragazze e quei ragazzi sono buona parte del nostro futuro, anche se rifiutiamo di accorgercene.