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Merci e diritti, un altro modello

Forum/1. Il mandato della Commissione europea sul commercio va cambiato, per indicare che non tutto è negoziabile. Le proposte di FairWatch/Sbilanciamoci

«Solo una crescita economica sostenuta è in grado di creare più posti di lavoro e preservare il nostro stato sociale». Europe 2020 è la strategia economica lanciata dalla Commissione Ue nel 2010 e individua nel commercio uno strumento chiave per uscire dalla crisi. Un osservatorio privilegiato della qualità politica dell’Ue a 27, il commercio, uno dei pochi ambiti in cui l’Europa parla a una voce, quella della Commissione stessa e del Parlamento, e in cui gli stati hanno l’unico potere di ratifica. La Commissione nega che il commercio uber alles abbia accelerato le attività climalteranti, la privatizzazione dei beni comuni, l’abbattimento dei costi e dei diritti del lavoro, in poche parole la crisi sociale, ecologica e economica che viviamo. Utilizza, anzi, la crisi come piede di porco per sbloccare i negoziati impantanati presso l’Organizzazione mondiale del commercio e moltiplicare gli accordi bilaterali. Il 29 giugno scorso, mentre il nuovo Comitato per la Sicurezza Alimentare della Fao, partecipato alla pari da società civile e governi, discuteva la cornice strategica della lotta alla fame per i prossimi anni, i negoziatori europei sostenevano che «non c’è alcuna relazione provata tra commercio e fame, quindi non vorremmo vederla considerata come tema da affrontare necessariamente». Una settimana prima, poi, a Rio, nonostante gli effetti dei cambiamenti climatici brucino sulla pelle di tutti, l’Europa spingeva perché al summit Onu sullo Sviluppo sostenibile si ribadisse che «misure ambientali con impatto sul commercio non devono costituire uno strumento di surrettizia restrizione al commercio internazionale».Di fronte a questa netta negazione di priorità necessarie all’esistenza stessa di un futuro per il pianeta, scegliamo la visione. Addio uomo vitruviano, racchiuso in un singolo cerchio perfetto, a leggere il mondo dalle coordinate della propria prospettiva. La sconfitta delle ragioni della proprietà intellettuale in favore della libertà della rete e dei diritti che il Parlamento europeo ha decretato bocciando la direttiva Acta a furor di manifestazioni e di una petizione da 2,8 milioni di firme, dimostra che siamo pronti a riconoscerci come organismo biologico che ha rotto il cerchio, con estensioni ed interconnessioni che costruiamo e dalle quali siamo costruiti, interdipendenti, narrativi. A dieci anni dal Forum Sociale di Firenze che ci ha visti dopo Seattle e Genova 2001 sostenere le ragioni di un’altra Europa possibile, e in vista delle prossime elezioni Ue, con la rete europea Seattle to Brussels in autunno proporremo di cambiare il mandato della Commissione europea sul commercio. Come abbiamo anticipato a Roma al forum di Sbilanciamoci e Green european foundation, presenteremo un testo tecnico e politico, che tracci una linea netta su ciò che è merce e ciò che è diritto non negoziabile. È tempo di costruire un modello alternativo e solidale, che metta la parola fine all’aggressione dei giganti europei dell’energia, dell’industria e dell’agrobusiness sui diritti di tutti, ben nascosta tra le righe di patti e trattati e dietro le grisaglie dei ministri comunitari.