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L’Eni e la retorica della sostenibilità

Il Rapporto di Legambiente sull’ENI smaschera e denuncia le politiche ambientalmente e socialmente dannose della multinazionale del petrolio e del gas. La retorica della sostenibilità e della responsabilità d’impresa troppo spesso nasconde pratiche di green washing e di maquillage.

Solo qualche giorno fa Legambiente ha meritoriamente diffuso il rapporto ENI/EMY of the planet con il sottotitolo Perché ENI ci riguarda e rischia di diventare sempre di più un nemico del pianeta. Nel rapporto di Legambiente – rilanciato dalla campagna Sbilanciamoci! – le critiche e le accuse all’ENI sono severe e circostanziate. L’ENI va nella direzione opposta rispetto a quella necessaria per il perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

Il colosso italiano del petrolio e del gas viene definito come “nemico del clima” e “campione delle fonti fossili”. Nel 2018 l’ENI – che è presente in 67 paesi – ha stabilito il record della produzione di 1,9 milioni di barili/giorno (5% in più rispetto al 2017) e sono ben 7.158 milioni di barili “le riserve di idrocarburi accertate di proprietà ENI”. Nel 2018 i ricavi complessivi del 2018 sono stati 75.822 milioni. Nonostante questi numeri da record, l’occupazione è calata dai 33.536 dipendenti del 2016 ai 31.701 del 2018.

Gli investimenti e i progetti dell’ENI – contrari all’ambiente – hanno incontrato dure contestazioni ad esempio in Nigeria, in Ecuador e nella nostra Basilicata, dove a Viggiano continuano a fare i conti con i danni causati dalla fuoriuscita di serbatoi di 400 tonnellate di petrolio che hanno contaminato 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo. Invece di investire decisamente nelle fonti rinnovabili, ENI continua a puntare su petrolio e gas. Il rapporto di Legambiente dice che l’ENI lascia “solo le briciole degli investimenti alle fonti pulite”. I paesi in cui l’ENI ha iniziato (ma concluso solo in pochi casi) progetti da fonti rinnovabili sono 12 su 67.

Sempre secondo Legambiente, l’ENI si è distinta per “pratica commerciale ingannevole” e per questo ha presentato denuncia presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Si tratta della campagna pubblicitaria del biodisel ENI diesel+ che promette “il -4% di consumi e il -40% di emissioni gassose”. Secondo Legambiente di tutto questo non c’è prova.

Ora, di fronte a questa realtà, l’ENI espone sul proprio sito un Rapporto di sostenibilità che sembra un documento di una Ong radicale: attenzione ai diritti umani, lotta alla povertà, persone al centro, generosità, altruismo. Nel Rapporto si proclama: “la decarbonizzazione è integrata nel nostro modello di business”. Il 19 luglio scorso ENI ha addirittura firmato un protocollo d’intesa con l’UNIDO (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) per il raggiungimento degli SDGs. Un protocollo non si nega a nessuno.

Ognuno si faccia il proprio giudizio, ma social e green washing sono ormai realtà molto diffuse in Italia e nel mondo. Di fronte al successo crescente e alla popolarità avanzante degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile c’è una corsa delle imprese (e non solo) ad accreditarsi come “sostenibili”: pubblicano fittizi bilanci di sostenibilità e si dichiarano “plastic free” vietando bicchierini e bottiglie di plastica negli uffici, mentre magari licenziano i lavoratori, offrono solo contratti di lavoro precari, utilizzano i sussidi ambientalmente dannosi e investono nei paradisi fiscali. Non tutte le imprese sono così, certo. Ma la sostenibilità è una cosa troppo seria per essere usata (e non praticata) come maquillage.

Negli anni scorsi il Centro Nuovo Modello di Sviluppo aveva avviato un lavoro molto prezioso di monitoraggio (svolto tra l’altro anche da altre organizzazioni e istituzioni) su oltre 150 imprese disvelando ipocrisie, bugie e opacità delle stesse, anche di quelle che si dichiaravano socialmente responsabili e sostenibili. Quel lavoro è purtroppo fermo a 4-5 anni fa. Andrebbe aggiornato e sviluppato, di fronte a questa nuova ondata di sostenibilità (in questo caso di facciata) cavalcata da multinazionali e da grandi e piccoli gruppi industriali nazionali a base di marketing e iniziative simboliche. È un lavoro da riprendere, al quale Sbilanciamoci! intende nei prossimi mesi dare il proprio contributo.