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Le Colonne d’Ercole del petrolio

La curva del greggio ha iniziato la sua fase calante. Il che vuol dire che scende la resa energetica ed estrattiva del petrolio, e le crisi economiche lo testimoniano

Col presente articolo si segnala la necessità di indirizzare maggiore attenzione a un dibattito non sufficientemente conosciuto che riguarda in prima battuta le principali risorse energetiche, ma che potrebbe implicare importanti conseguenze anche in campo economico e produttivo.Secondo ricerche effettuate da esperti indipendenti nel settore petrolifero (Aspo – Association for the Study of Peak Oil and Gas), ci sarebbero – nonostante i reiterati proclami provenienti dalle maggiori autorità energetiche mondiali (Cera, Eia, Iea) – fondati motivi di ritenere che ci troviamo all’inizio di una fase problematica riguardante la produzione petrolifera, tecnicamente riconducibile al raggiungimento del “picco di Hubbert” mondiale per l’estrazione dei petroli cosiddetti convenzionali. Questo andamento, che possiamo approssimare con una curva gaussiana, prevede che lo sfruttamento di qualsiasi risorsa geologica non rinnovabile cominci lentamente, poi acceleri in maniera esponenziale, quindi rallenti la sua crescita fino ad un punto massimo (detto picco di Hubbert, dal nome di un famoso geologo), che rappresenta la quantità limite di minerale estraibile in una data unità di tempo, e prosegua poi con un progressivo declino della produzione, fino al momento in cui l’estrazione arriva al termine. Questa curva raggiunge il picco quando è stata prelevata circa la metà delle riserve del sottosuolo, e illustra come prima del picco sia possibile aumentare la produzione, mentre come questa cali inesorabilmente nella parte di destra della curva stessa . Arrivare a comprendere in che punto ci si trovi rispetto a tale andamento estrattivo non è però una mera speculazione accademica degli scienziati che cercano di stabilire chi avesse ragione riguardo alle previsioni, ma il segnale di un nuovo e consistente problema per le economie mondiali. Il motivo di quest’affermazione è palese: la crescita è realizzabile, vista l’importanza relativa del petrolio in tutte le realtà imprenditoriali, solo se è possibile aumentare la produzione energetica. Trovarsi ad aver superato il picco di Hubbert del petrolio porterebbe perciò conseguenze molto sgradite. A questo riguardo ci sono ampie concordanze sulla perniciosità della situazione che si verrebbe a creare, che comprende forti oscillazioni dei prezzi delle merci e dei mercati azionari, crisi dei settori più sensibili all’aumento dei prezzi dei carburanti, poi seguirebbe una più che probabile recessione globale, lotta per le risorse residue e instabilità geopolitica.E’ pertanto essenziale che tentiamo di rispondere alle seguenti questioni:1) Siamo già entrati nella zona del Peak-oil?2) Le altre fonti energetiche saranno in grado di supplire agli ammanchi?3) In caso di risposta affermativa alla prima domanda, cosa potrebbe accadere a breve e medio termine? Per quanto riguarda il primo quesito, come sopra anticipato, c’è ancora discordanza tra i vari esperti. Se le agenzie più ottimiste non prevedono picchi produttivi per altri trent’anni, occorre tener presente che esistono forti pressioni per evitare di diffondere pericolosi allarmismi sui mercati, allo scopo di evitare di provocare una profezia auto avverante a seguito del panico indotto, ma se fossimo già nella zona del Peak-oil, si potrebbe tenere occultata la faccenda ancora per poco tempo, almeno fino a quando sarebbe sempre più evidente che le impennate dei prezzi e gli scossoni dei mercati starebbero ad indicare solo la conseguenza economica di un problema di ben altra natura.Ancora per un certo tempo la sola manifestazione riconoscibile di un’epocale crisi energetica allo stadio iniziale sarà di natura economica. E’ forse quanto successo riguardo all’attribuzione della crisi di metà 2008 al sistema dei mutui subprime, tesi universalmente condivisa, ma probabilmente incompleta. Si tralascia con una certa disinvoltura il fatto che poco prima della crisi stessa il petrolio era arrivato a prezzi molto elevati, fino a quasi 148 dollari al barile, e che ogni qualvolta c’è stata un’impennata del prezzo del barile è poi seguita una crisi economica. Bastava quella sola considerazione per aspettarsi la crisi, ma questo campanello d’allarme non pare sia giunto alle orecchie di molti economisti.Parlare del Peak-oil significa dover coniugare aspetti di natura geologica, tecnologica ed economica. E’ vero infatti che se un bene primario scarseggia, la pressante domanda, facendo lievitare i prezzi, porterebbe nuovi capitali per migliorare le tecniche estrattive, ricercare nuovi giacimenti, dare inizio a produzioni improponibili a prezzi inferiori, ma a tutto c’è un limite, e la storia estrattiva mostra che tutte queste opportunità e migliorie devono coesistere con dei parametri di natura tecnologica e geologica. Queste problematiche tecnologiche si tradurranno in un aumento tendenziale dei costi non solo del petrolio, ma di tutte le materie prime.Il facile ottimismo è la conseguenza della scarsa conoscenza delle dinamiche estrattive, un vuoto colmato però da pericolosi luoghi comuni e da “leggende metropolitane” sul petrolio.La prima inesatta concezione è che il petrolio esca da solo dai giacimenti, idea in parte vera e testimoniata da molti filmati che mostrano il momento in cui i pozzi spruzzano in alto il prezioso liquido che ricade sui festanti trivellatori, ma sono pochi a sapere che in genere in questo modo si può estrarre solo una piccola frazione (difficilmente più del 12%) del giacimento. Ciò è dovuto al fatto che in profondità non c’è una specie di gigantesco barile «alla spina» che agevolmente cede il suo contenuto, ma una roccia porosa intrisa di questo prezioso liquido. E’ facile allora comprendere che la fase successiva preveda l’uso di pompe per aspirare quello che dopo la prima espulsione spontanea rimane in equilibrio di pressione con l’esterno. Anche in questo caso è possibile prelevare solo una frazione del totale, di solito non più del 36% del pozzo. Come estrarne di più? Si è provveduto a ripristinare la pressione dentro i pozzi immettendo acqua o gas inerte, e si spera che questi miglioramenti tecnologici possano in futuro portare a prelevare fino al 60% o 70% del contenuto, che sarebbe già un considerevole traguardo, ma sia chiaro che una gran parte del petrolio del sottosuolo non sarà mai estratto. Questo avviene in quanto rimarranno sempre frazioni non estraibili, giacimenti piccolissimi o molto profondi o comunque troppo difficili da sfruttare per avere una resa economica accettabile in proporzione agli investimenti. Non è solo una questione di prezzo in quanto anche la resa energetica (Eroei – Energy Returned On Energy Invested) cala sempre di più fino a rendere inutile ogni altro sforzo quando questo rapporto si avvicina all’unità. Quando impiego un barile di petrolio per estrarne un altro, il gioco non vale la candela. A livello mondiale questo è precisamente ciò che sta accadendo e da una resa Eroei di 100 nei primi anni della corsa al petrolio si è passati, ora che siamo all’incirca a metà della sua storia estrattiva, a una resa media di circa 8 e continua a calare. Gran parte del petrolio residuo è contenuto in giacimenti “deep water”, o in sabbie e scisti bituminosi con Eroei di appena 3 o anche solo 2,5.In sostanza non c’è proprio niente che si stia esaurendo, ma la resa energetica sta calando inesorabilmente. Quindi la risposta più rigorosa a chi ci chiedesse quando finirà il petrolio sarebbe che ciò non succederà mai, ma è chiaro quanto risulterebbe fuorviante un’affermazione simile. Nella pratica si ritiene che ci sarà petrolio ancora per un centinaio d’anni, ma anche questa stima è falsamente tranquillizzante, poiché i problemi non cominceranno al termine della sua disponibilità, ma da quando inizierà a scarseggiare, ovvero al superamento del picco di Hubbert.Un mondo che spinge in direzione della ripresa, proiettato verso la crescita, aborrisce la parola esaurimento, poiché l’energia altamente economica e versatile nelle sue possibilità di impiego che ci fornisce il petrolio non è facilmente rimpiazzabile. Il dibattito in corso tra fautori della scarsità e paladini dell’abbondanza testimonia che non esistono prove schiaccianti dell’effettivo raggiungimento del massimo estrattivo, che, come illustrano molti esperti del settore, diverrà riconoscibile solo a posteriori, allorché risulterà chiaro che non sarà più possibile ritornare ai livelli produttivi del momento del picco. Esistono però molte prove indiziarie dell’avvenuto raggiungimento.Innanzi tutto, dei 98 distretti produttivi al mondo ben 65 hanno già superato il punto massimo dell’estrazione. Alcuni di questi, sviluppati fin dall’inizio con tecnologie moderne, mostrano un calo impressionante, come ad esempio Cantarell in Messico che in due soli anni ha perso il 59% rispetto alla sua massima capacità, ed è adesso in fase di declino rapidissimo ed irreversibile. Si prevede possa andare avanti ancora per un altro paio di anni, quello che era il terzo giacimento mondiale per importanza delle sue riserve.Altro segnale è stato l’appiattimento della curva estrattiva mondiale a partire dalla fine del 2004. A fronte di una domanda sempre crescente, è da quel periodo che il pompaggio non è più riuscito a starle al passo, ed è stato questo (non la sola speculazione!) uno dei motivi dell’impennata dei prezzi fino al 2008. Nonostante controvalori così elevati (che i produttori cercavano di sfruttare al meglio pompando alla massima velocità), la quantità estratta non decollava.Per inciso, l’andamento a “plateau” era stato previsto dalla modellistica dei geologi, che hanno mostrato come tale fase si sarebbe manifestata con un andamento produttivo piatto per circa tre o quattro anni, prima del declino, e anche questo è un possibile indizio a conferma.I dati più recenti rivelano poi che il vero problema non risiede solo nel calo produttivo, ma anche nell’esportazione versi i Paesi industrializzati (attualmente di circa il 6% inferiore rispetto ai valori massimi degli anni scorsi, diminuzione imputabile alla crisi) e nell’aumento esponenziale dei consumi interni da parte dei Paesi produttori e delle economie emergenti del cosiddetto Bric (Russia, Brasile, India, Cina), e questo mostra come ciò che conta non è solo la quantità prodotta, ma quanto effettivamente ne arriva, segnalando una tendenza decrescente rilevante e progressiva. Per ciò che riguarda il secondo quesito, occorre rimarcare che le restanti energie non rinnovabili (gas naturale, carbone e nucleare) più quelle rinnovabili (idroelettrico, eolico, geotermia, solare e biomasse) non saranno in grado di coprire tutti gli ammanchi né come quantità né come qualità dell’energia altamente concentrata dei derivati del petrolio, tranne forse nei primi tempi dopo il picco, ed è probabilmente questa la più pericolosa e ingenua aspettativa di molta gente. Le stime parlano chiaro. Colin Campbell, presidente Aspo mondiale prevede un calo medio da qui al 2030 del 2,7% annuo, che tradotto in pratica significa che per rimpiazzare gli ammanchi di forniture occorrerebbero altre sette volte i giacimenti dell’Arabia Saudita (stima di Richard Jones, Iea), o dovremmo costruire una centrale nucleare ogni due settimane, o bisognerebbe ogni anno che passa raddoppiare la quota di rinnovabili, grande idroelettrico compreso. Questo conduce ad una sola conseguenza, ovvero una recessione di proporzioni mai viste prima. Se, come si teme, abbiamo toccato il picco estrattivo verso la fine del 2008 – e arriviamo così al terzo quesito – incroceremo ancora la curva discendente di Hubbert non appena l’economia mondiale tenterà di riportare i consumi verso quella quota di circa 85 milioni di barili al giorno (all liquids), oppure ciò avverrà anche se i consumi rimarranno pressappoco costanti, solo con un po’ di tempo di ritardo rispetto al caso della ripresa. L’unica alternativa perché ciò non accada, ferme restando le premesse del raggiungimento del picco, non è una vera alternativa, poiché consisterebbe in un peggioramento drastico della crisi già in atto, con distruzione massiccia della domanda, ma questo porterebbe ovviamente alle stesse conseguenze paventate.La valutazione temporale del periodo che passerà prima di tornare a incrociare la curva di Hubbert è comunque dell’ordine di pochi anni, poi vedremo un’altra impennata dei prezzi dei carburanti. A che quotazione potrebbe allora arrivare il barile prima di mettere nuovamente in ginocchio l’economia? Jeff Rubin, famoso economista canadese (che nel 2000 aveva correttamente pronosticato che il petrolio avrebbe raggiunto i 50 dollari entro il 2005; e che in quell’anno indovinò nuovamente, prevedendo un costo di 100 dollari nel 2007) ipotizza un barile a 225 $ entro i prossimi due anni (2012) e si ritiene che potrebbe azzeccare anche questa previsione, considerando anche le possibili fluttuazioni del biglietto verde. Sarà quello il segnale dell’inizio di una nuova recessione. Vedremo dapprima un nuovo crollo delle borse, disoccupazione crescente e instabilità tale da portare in una delle prossime criticità ad un più che probabile esito collassato i Paesi maggiormente in difficoltà. Si comprende pertanto come, nonostante le considerazioni esposte, sia essenziale che vengano fin da subito adottate contromisure più incisive di riduzione della dipendenza energetica dall’estero e di risparmio sull’utilizzo delle risorse non rinnovabili sia a livello politico e governativo, sia mediante iniziative individuali tendenti anche alla riconversione delle unità abitative in sistemi energeticamente più autonomi. Che le fonti non rinnovabili siano destinate ad esaurirsi è una certezza che impone di progettare comunque la transizione verso quelle rinnovabili.Qual è il momento migliore per impegnarsi a fondo in quest’impresa? Sarebbe stato opportuno iniziare trent’anni fa, ma si considera che sia già un ottimo risultato non procrastinarlo ulteriormente. Per un orientamento bibliografico in rete si consiglia di consultare i numerosi riferimenti (corredati di copiosa bibliografia) che si possono trovare su Wikipedia, sia in lingua inglese, sia sul sito italiano: http://it.wikipedia.org/wiki/Picco_di_Hubbert http://en.wikipedia.org/wiki/Peak_oil Si segnala inoltre il sito di Aspo Italia all’interno del quale si possono trovare numerosi articoli e una discussione sul blog:http://www.aspoitalia.it/ http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli Inoltre i seguenti siti: http://petrolio.blogosfere.it/ http://www.oilcrash.com/italia.htm http://www.oil-price.net/index.php?lang=it http://www.theoildrum.com http://www//www.iea.org http://www//www.iea.org http://www.eia.doe.gov http://www.cera.com/aspx/cda/public1/home/home.aspx Alcuni libri propedeutici al peak oil, sono anche i seguenti:The coming oil crisis” (in italiano: “La crisi del petrolio imminente”) del 1997The end of cheap oil“, di Colin J. Campbell e Jean H. Laherrère apparso su Scientific American nel marzo 1998, tradotto in italiano da Le Scienze (“La fine del petrolio a buon mercato”).La fine del petrolio” di Ugo Bardi, Editori Riuniti, 2003 –00193 Roma”La festa è finita” di Richard Heinberg, Fazi Editore, 2004, ISBN 8881125129Collasso” di James Howard Kunstler, Nuovi Mondi Media, 2005 Sono stati realizzati anche alcuni film e documentari, come ad esempio: A Crude Awakening – The Oil Crash – (2006) Documentario Svizzera 53′ (Anche in lingua italiana) The End of Suburbia – (2004) di Gregory Greene USA, Canada 78′ (Solo in Inglese)Una Scomoda Verità – (2007) di Davis Guggenheim con Al Gore USA 100′(Anche in lingua italiana