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La sfida dell’uguaglianza rimossa da Cottarelli

Il diritto non è naturale, va storicizzato, così come i bisogni e l’impoverimento. E’ bene ricordare che ciò che separa sinistra e destra è la Storia. La prima si rifa alla modernità, la seconda è post-moderna.

La sfida dell’uguaglianza per cambiare il Paese del professor Carlo Cottarelli (La Stampa, 3 luglio 2018, p. 25) sembra un articolo di buon senso, ma dalla finestra esce ciò che sembra entrare dalla porta. Innanzitutto perde la Storia del diritto e, purtroppo, la parte più feconda legata al diritto positivo. Ma tutta la sinistra (con tutte le sue potenziali declinazioni) ha perso la misura del diritto, diventando da un lato intellettualmente arrogante quando afferma il diritto in sé per sé, mentre dall’altro lato è diventata radical quando dispensa buoni consigli per la popolazione “ignorante”, certamente non nell’accezione di Lev Trockij. Forse un po’ di Storia è utile anche per uscire dalla logica bipolare tra buoni e cattivi.

La società e il ben-essere evolvono nel tempo, ovvero i bisogni di classica memoria (Marx, Smith e Ricardo) diventano diritti (società liberale) nel mentre la spinta al ben-essere, legata alla crescita del reddito, crea i presupposti per nuovi e diversi bisogni che la società moderna (democratica) trasforma in diritto. È un pendolo che sostiene senza sosta la società. Più precisamente, i bisogni della prima generazione lasciano il posto al diritto positivo di prima generazione; al crescere del reddito si consumano beni diversi e sopravvengono nuovi e più sofisticati bisogni di seconda generazione che, nel tempo, diventano diritti di seconda generazione. Se il reddito e il ben-essere progrediscono nascono nuovi bisogni (di terza generazione) che la democrazia configura come diritti di terza generazione. Il diritto (positivo), diversamente dal diritto naturale legato alla proprietà, è dinamico (adattivo), nel senso che condiziona lo sviluppo e il ben-essere dei cittadini nella misura in cui lo sviluppo e il ben-essere nel tempo cambiano il contenuto-segno. Presuppone, in fondo, un avanzamento progressivo della società. Un po’ come un aeroplano: finché c’è il carburante che spinge in avanti l’aereo l’effetto venturi lavora bene, ma qualora finisse il carburante l’effetto venturi cessa di lavorare e l’aereo si avvita su sé stesso e precipita.

Astraendoci dalla sofferenza soggettiva della povertà, se la povertà assoluta e relativa del 2016 è più alta di quella del 2005 – le persone che vivono in povertà assoluta in Italia hanno sfondato quota 5 milioni nel 2017, il valore più alto registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche, nel 2005 -, se possedere o meno un lavoro non rappresenta più una condizione di ben-essere (le famiglie di operai e assimilati registrano un tasso di povertà del 19,5%), significa che il diritto positivo che ha contraddistinto la società moderna ha lasciato il posto al solo diritto naturale, determinando un ripiegamento delle prospettive senza precedenti nella storia moderna.

Utilizzando le categorie di Norberto Bobbio, non esiste il diritto in assoluto: il diritto è figlio delle rivendicazioni e delle lotte dei soggetti sociali, così come le libertà politiche e quelle sociali dipendono dalla nascita, dalla crescita e dalla maturità del movimento dei lavoratori salariati, dei contadini con poca terra o nullatenenti, mentre le libertà civili sono legate alle lotte contro i sovrani assoluti. Ciò che si vuole sottolineare è la Storia del diritto: questo evolve fino a contemplare figure e oggetti che con il passare del tempo diventano sempre più stringenti.

D’altra parte la crescita del diritto è figlia della maggiore consapevolezza delle persone e delle associazioni. Più precisamente, il diritto positivo è direttamente proporzionale alla sua reale disponibilità, cioè occorrono risorse finanziare adeguate per rendere effettivo questo diritto.

Non significa che il diritto positivo non riconosca i diritti fondamentali, piuttosto che il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, non si collegano al diritto naturale, piuttosto alle nuove basi su cui si regge la società. C’è anche una evoluzione etica del diritto, ma questa rimane pur sempre proporzionale all’evoluzione del ben-essere.

Senza la Storia – siamo tutti debitori di Leon, Sylos, Bobbio – si cade nell’errore (arroganza) di chi difende il diritto come valore in sé, dimenticando che il cosiddetto salario di sussistenza e le sue conseguenze sulla dinamica della società sono categorie interpretative fondamentali del progresso. Senza il carburante della crescita e del ben-essere, il diritto positivo precipita come l’aereo senza carburante.

La Storia economico-sociale è giustappunto Storia; il diritto non sfugge a questa dinamica. In altri termini, i bisogni e i diritti evolvono assieme al sistema economico e, ancor di più, rispetto alle aspettative di un futuro che per definizione può e deve essere migliore del presente. Sebbene la parzialità della democrazia liberale (capitalistica) sia geograficamente e storicamente collocata, oggi è intaccata nelle sue fondamenta: fino a quando le prospettive di ben-essere sono pregiudicate nel presente, tanto più lo saranno nel futuro.

Le politiche economiche e sociali degli ultimi 20 anni hanno svuotato il diritto positivo e, quindi, consegnato al diritto naturale la soluzione dei problemi. Il diritto all’asilo, per esempio, non solo diventa diritto naturale, ma ripudia il diritto positivo in tutte le sue declinazioni.

La rivendicazione e la difesa del diritto non può essere, quindi, la difesa del diritto in quanto tale. Se così fosse il diritto diventerebbe solo diritto naturale-etico.

Il diritto positivo richiama il piano normativo (governo) della politica economica; ciò che separa la sinistra e la destra più o meno reazionaria è la Storia. La prima dovrebbe rifarsi alla modernità, la seconda è post-moderna.

Se la sinistra rimuove la Storia del diritto, qualsiasi conflitto su immigrati e/o su altre e non meno banali questioni (lavoro, sanità, previdenza, istruzione, ambiente, ecc.), la società si dividerà tra buoni e cattivi. Non è proprio un orizzonte plausibile per riconquistare il “popolo” di sinistra.