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La Francia al ballottaggio

La vittoria di Macron è praticamente certa. Un esito che probabilmente darà più forza a una delle due tendenze delle sinistre europee, quella che sostiene la necessità di un “Piano B” per sottrarsi alla morsa di regole basate sulla svalutazione del lavoro

Marine Le Pen pensava a un referendum sull’euro, e queste elezioni presidenziali ne sono state una sorta di surrogato. Il fronte critico con l’Europa ha preso circa il 45% (il 21,5 di Le Pen più il 19,6 di Melenchon, più qualcos’altro dei sovranisti), gli altri una netta maggioranza. Il risultato finale, quello che si saprà tra due settimane, dopo il ballottaggio, appare a questo punto scontato: se pure tutti coloro che hanno votato il candidato di sinistra convergessero sulla leader del Front National – cosa improbabile – e si aggiungesse quel 5% circa di altri partitini, la destra europeista resterebbe comunque in grande vantaggio. Un risultato a sorpresa tipo Brexit sembra al di là delle ipotesi plausibili.

Tre dei candidati a questa prova elettorale provenivano dal Partito socialista francese. Hamon, il candidato ufficiale del partito; Macron (ex ministro dell’Economia nel governo Valls) che ne è uscito l’anno scorso; e Melenchon che l’ha abbandonato già da molti anni. Niente meglio di questo fatto illustra la deriva di quello che fu il partito della sinistra riformatrice e che oggi va ad aggiungersi alla lunga lista dei partiti socialisti che hanno imboccato la truffaldina “terza via”, la via del cedimento al liberismo che porta inevitabilmente al suicidio, come questo risultato prova ancora una volta. Melenchon è uscito quando è apparso chiaro che il Psf aveva scelto quell’orientamento; Macron – uomo di destra già quando fu scelto come ministro – ha abbandonato la nave non per dissensi ideologici (come prova l’immediato appoggio offertogli ora da Hollande), ma perché aveva capito che sarebbe miseramente naufragata. Hamon, che quando a sorpresa vinse le primarie fu definito “radicale”, è un Bersani d’oltralpe: i suoi propositi progressisti non poggiano su una analisi dell’errore storico compiuto dalla ex sinistra quando ha aderito all’idelogia di quelli che fino ad allora erano stati considerati avversari politici. Troppo tardi e troppo poco, hanno sentenziato gli elettori: il candidato del partito che nella scorsa tornata ha conquistato la presidenza della Repubblica ha ottenuto stavolta poco più del 6%, 2.300.000 elettori su 33 milioni di votanti.

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