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Il “Mit di Genova” bocciato in brevetti

L’Istituto italiano di tecnologia, caro a Tremonti e ai meritocratici a parole, delude alla prova dei fatti. E produce molti meno brevetti per ricercatore dei “vecchi” politecnici italiani

L’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), creatura di Giulio Tremonti, è stato istituito nel 2003. L’obiettivo era quello di dotare l’Italia di un centro di ricerca e trasferimento tecnologico di eccellenza, capace di competere con le migliori strutture internazionali. Il sistema universitario e dei centri pubblici di ricerca, dominato da baroni e dirigenti poco propensi ad intraprendere progetti di ricerca utili al sistema produttivo e ad assumere i migliori cervelli, non veniva ritenuto all’altezza di questa sfida. Occorreva quindi un Mit anche per l’Italia, il quale, reclutando in base a criteri di merito personale italiano e straniero altamente qualificato, fosse in grado di scuotere un sistema dormiente. Su questa scelta e, soprattutto, sulle ingenti risorse assegnate all’Iit (100 milioni di euro all’anno), non mancarono reazioni negative da parte di autorevoli esponenti del mondo della ricerca, tra cui Carlo Rubbia. Invece di realizzare un nuovo, grande istituto di ricerca non sarebbe stato più opportuno potenziare i centri (universitari e non) che già producevano risultati di eccellenza? Ma questo non era nei piani del governo di centro-destra il quale, come poi è avvenuto, preferiva tagliare risorse a tutte le strutture pubbliche, invece di distribuirle in modo selettivo. Per i fondi da destinare all’Iit, invece, non c’era problema e il progetto andava avanti.

Per definire la governance della Fondazione IIT ci sono voluti due anni (2004-2005). La fase dello start-up (avviamento dei laboratori e reclutamento dei ricercatori) è durata altri tre anni. Alla fine del 2008 risultavano assunti circa 300 ricercatori, quasi tutti con contratti a tempo determinato. Nei due anni successivi, vale a dire a dicembre 2010, è stato completato il laboratorio centrale di Genova e il personale di ricerca è più che raddoppiato (si veda nel sito dell’Iit il documento “I primi 5 anni di Iit”).

Nel dicembre 2008 Carlo Cattaneo, direttore de Le Scienze, osservava che a fronte dei circa 450 milioni di euro investiti dallo stato italiano i risultati dell’Iit, sia in termini di pubblicazioni scientifiche che di brevetti, apparivano alquanto scarsi. La reazione del direttore scientifico dell’istituto, Roberto Cingolani, fu, in estrema sintesi, che l’Iit aveva appena terminato la fase di start-up e quindi accusarlo di scarsa produttività era del tutto prematuro.

Veniamo allora ai giorni nostri. Nell’aprile di quest’anno Francesco Sylos Labini e Angelo Leopardi hanno pubblicato sul sito Scienza in Rete (si veda “Enti di ricerca: dov’è l’eccellenza”; www.scienzainrete.it) un’analisi delle pubblicazioni scientifiche internazionali, riferite al 2009, di cinque centri di ricerca nazionali: il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Istituto Nazionale di Fisica e Vulcanologia e, infine, l’Iit. Quest’ultimo, nonostante goda di un finanziamento pro-capite (cioè per ricercatore) decisamente superiore, ha una produttività scientifica nettamente inferiore a quella degli altri centri di ricerca considerati. Ciò si conferma anche quando le pubblicazioni vengono corrette per un indice di qualità basato sulle citazioni.

Anche a questa “stroncatura” ha risposto il direttore dell’Iit osservando, in particolare, che comparare il numero di pubblicazioni del 2009 con i ricercatori del 2010 non è corretto. Come si vede, applicare (sul serio) criteri di merito può dar luogo a risultati spiacevoli. E allora, quasi sempre, si eccepisce sul metodo. In questo caso, tuttavia, utilizzare i ricercatori del 2010 non inficia il record dell’istituto in termini di costo per pubblicazione. Inoltre, se fossero stati utilizzati i ricercatori del 2008, l’Iit sarebbe passato dall’ultima alla penultima posizione della classifica.

Per disporre di un quadro maggiormente esaustivo della produttività dell’Iit è utile esaminare anche il dato sui brevetti. In fondo la missione dell’Iit non è soltanto quella di svolgere ricerca di base (i cui risultati danno principalmente luogo a pubblicazioni scientifiche) ma anche progetti di ricerca applicata e, quindi, attività di trasferimento tecnologico. Tra i principali output della ricerca applicata vi sono i brevetti e, per confrontare le performance inventive di imprese e centri di ricerca, vengono impiegati quelli di natura internazionale.

Infatti, mentre brevettare in Italia è semplice e costa poco, ottenere un brevetto dai principali uffici internazionali è assai più difficile e costoso. Ne consegue che i brevetti internazionali riguardano invenzioni di maggior valore rispetto alle quali, tra l’altro, la copertura garantita dal solo brevetto nazionale sarebbe del tutto insoddisfacente.

Ecco allora che le invenzioni ritenute di maggior rilievo vengono brevettate prima a livello nazionale ma poi (entro un anno per non perderne la priorità) presso l’European Patent Office (Epo) o l’United States Patent and Trademark Office (Uspto). In alternativa, con una modalità provvisoria che consente di allungare il periodo di priorità, la domanda di brevetto può essere sottoposta alla World Intellectual Property Organization (Wipo).

Consultando la banca dati Espacenet, ho estratto le domande di brevetto internazionale (Epo, Uspto e Wipo) sottoposte dall’Iit nell’intero 2010 e nella prima metà del 2011 (cioè entro il mese di giugno) confrontandole poi con quelle dei Politecnici di Milano e Torino. I risultati sono esposti nella tabella che segue il testo.

L’Iit ha sottoposto 12 domande di brevetto internazionale (di cui solo 2 nella prima metà del 2011). Questi sono stati rapportati al numero di ricercatori dell’Iit operativi alla metà del 2009, stimati in 380 unità (ai 300 assunti alla fine del 2008 ne sono stati aggiunti 80). Poiché una parte è stata reclutata negli anni precedenti, ciò significa che i ricercatori dell’Iit hanno avuto, mediamente, quasi 3 anni di tempo per produrre risultati brevettabili.

Per i Politecnici di Torino e Milano le domande di brevetto sono pari, rispettivamente a 23 e 69, mentre i “ricercatori a tempo pieno” sono stati stimati a partire dai docenti di ruolo del 2009. Nella nota alla tabella illustro le ipotesi che ho adottato per tale calcolo il quale, a mio avviso, sovrastima leggermente il personale di ricerca dei due Politecnici.

Ciononostante, in termini di brevetti per 100 ricercatori, i risultati mostrano che l’Iit registra la perfomance peggiore. La produttività del Politecnico di Torino è, seppur di poco, superiore mentre quella del Politecnico di Milano è quasi tre volte più alta.

Con questi risultati, come può pretendere l’Iit di rappresentare l’eccellenza della ricerca applicata italiana? Quanti anni dovremo attendere e, soprattutto, quante risorse pubbliche serviranno prima che questo avvenga? E nel frattempo, con i tagli indiscriminati alla ricerca operati dall’attuale governo, che fine faranno i centri di eccellenza nazionali che già abbiamo?

A queste domande dovrebbero rispondere, in primis, il ministro Tremonti, in qualità di principale sponsor dell’Istituto Italiano di Tecnologia, e, secondariamente, i paladini della cosiddetta meritocrazia. Tra questi, Francesco Giavazzi (che si è speso a favore della sua istituzione) e Alberto Alesina (il quale, by the way, è consigliere di amministrazione dell’Iit). Cari signori, dove sta il merito?

Domande di brevetto internazionale:2010-giugno 2011

Ricercatori operativi a metà 2009*

Domande di brevetto per 100 ricercatori

Politecnico di Milano

69

754

9.15

Politecnico di Torino

23

544

4.23

Istituto Italiano di Tecnologia

12

380

3.16

* Nel 2009, il numero complessivo di docenti (professori e ricercatori) di ruolo nelle discipline tecnico-scientifiche (ad esclusione dell’area di “Ingegneria civile ed architettura”) dei Politecnici di Milano e Torino era pari, rispettivamente a 830 e 600 unità. Secondo l’ultima rilevazione Istat sul tempo di lavoro del personale docente delle università (si veda “La ricerca e sviluppo in Italia nel 2005”, Istat, 2007), nell’area disciplinare “Ingegneria industriale e dell’informazione” i docenti dedicano mediamente alla ricerca il 45.4% del loro tempo. Applicando tale percentuale, i “ricercatori equivalenti a tempo pieno” sono pari a 377 unità nel Politecnico di Milano e 272 in quello di Torino. Ad ognuno di questi ho aggiunto un ricercatore a tempo determinato, raddoppiando quindi i valori. Il rapporto tra personale di ricerca di ruolo e “precario” potrebbe essere leggermente superiore all’unità. Come è noto, tuttavia, anche i precari dell’università svolgono, di fatto, attività didattiche (anche troppe!) e non possono essere considerati ricercatori a tempo pieno. Di conseguenza, assumere che vi sia un rapporto unitario tra le due figure (di ruolo e precarie) non è soltanto ragionevole ma, probabilmente, sovrastima il numero di effettivi ricercatori dei due Politecnici.

Link utili sull’Iit:Roberta Carlini, Chi ricerca trova un Tesoro, giugno 2009 (L’Espresso)Marco Cattaneo, Istituto Italiano Tremonti, dicembre 2008 (dal blog de Le scienze)Angelo Leopardi e Francesco Sylos Labini, Enti di ricerca e IIT: dov’è l’eccellenza, Scienzainrete.it, aprile 2011