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I riders in sciopero e il caporalato digitale

Caporalato digitale, sistema schiavistico: così descrivono i magistrati di Milano la situazione dei lavoratori del food-delivery. I quali hanno deciso uno sciopero nazionale per venerdì 26 marzo chiedono alla clientela di non utilizzare le app in solidarietà alla loro lotta per diritti e paghe adeguate.

Da tempo i giornali e le ricerche svolte a livello internazionale si erano occupate delle precarie condizioni di lavoro dei fattorini delle piattaforme di food-delivery, ma i termini dell’indagine avviata dalla procura di Milano a fine febbraio 2021 sono ancor più netti. “Sistema schiavistico” e “caporalato digitale” sono infatti le parole usate dal procuratore capo milanese Francesco Greco per descrivere quello che è stato definito un “deliverygate”.

Il caporalato non è un fenomeno lontano nel tempo e nello spazio, e per osservarne le implicazioni sul mondo del lavoro non è necessario rispolverare film come Riso Amaro, classico del neorealismo diretto dal maestro De Santis nel 1949, film che metteva già a nudo molte dinamiche che la storia purtroppo ripete, anche e soprattutto nell’epoca del capitalismo digitale, dove la più nuova delle tecnologie rispolvera le più antiche forme di sfruttamento.

Il caporalato è fenomeno ben più vicino e contemporaneo. Riguarda tanto le condizioni dei braccianti che in diverse regioni d’Italia raccolgono quella frutta e verdura che comodamente troviamo sugli scaffali delle grandi catene di supermercati. E riguarda le condizioni di precari e migranti che consegnano cibo e spesa che ordiniamo tramite le piattaforme digitali. Il caporalato è in fondo una tendenza costante di un capitalismo deregolamentato che, in barba ai diritti, spadroneggia proprio grazie alle nuove tecnologie digitali e alle nuove modalità dell’economia su piattaforma. 

È questo il lato più oscuro di una innovazione tecnologica che, senza mediazioni istituzionali e legali, corrode il mondo del lavoro e la società. Una innovazione puramente di facciata, dove dietro il brand e la retorica del e-commerce si nascondono modelli organizzativi e di impiego feudali, dove ritornano vecchie forme di taylorismo che pensavamo appartenere a stadi antecedenti al fordismo, che esasperano l’individualizzazione, il lavoro a cottimo, forme di sorveglianza e di controllo lesive dei diritti fondamentali.

Già il Tribunale di Milano nel maggio 2020 aveva previsto il commissariamento di alcune piattaforme di food-delivery per “caporalato digitale”, ma le dimensioni della maxi-indagine della settimana scorsa svelano un vero e proprio deliverygate, dove il “sistema schiavistico” di cui le piattaforme di food-delivery sarebbero responsabili riguarda circa 60 mila rapporti di lavoro. L’inchiesta prevede 730 milioni di euro di multe e coinvolge amministratori delegati, rappresentanti e delegati per la sicurezza di società-chiave nel settore come Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e DeliverooChe il campo delle consegne a domicilio fosse un terreno piuttosto critico lo mostravano anzitempo le innumerevoli mobilitazioni di ciclofattorini che già dal 2016 invadevano i social network e le piazze da New York a Hong Kong passando per le nostre Torino, Bologna e Milano.

Il terreno del food-delivery è stato sicuramente quello centrale nella ridefinizione anche simbolica delle contraddizioni del capitalismo delle piattaforme e il livello delle mobilitazioni dei lavoratori è andato crescendo nel tempo, aumentando la generalità dei propri contenuti di rivendicazione e delle forme di organizzazione. 

La costituzione dell’assemblea europea dei ciclofattorini nell’ottobre del 2018 a Bruxelles aveva già anticipato molte delle questioni che sono emerse anche dall’indagine del Tribunale di Milano, come la subordinazione contrattuale contro il lavoro occasionale o a chiamata, il diritto all’assicurazione contro gli infortuni e il bisogno di legare la questione a un discorso più generale, quello del rapporto tra le piattaforme e la proprietà dei dati. Tema, quest’ultimo, al cuore del capitalismo digitale, e che ci riguarda tutti, vista la pervasività della connettività che va ben oltre le nostre identità parziali come cittadini, lavoratori, consumatori, utenti. 

La governance delle piattaforme digitali, la regolamentazione delle loro tecnologie di rilevazione ed estrazione dei dati sono oggetto di dibattito politico nelle grandi metropoli globali e questo dibattito non può limitarsi a retoriche sulle smart city, sull’ineluttabilità del mondo che cambia o su vaghe equazioni che legano direttamente la tecnologia ad un mai ben definito progresso.

Lavoratori, sindacati, istituzioni, cittadini giocano un ruolo fondamentale nel creare quel contratto sociale che limiti tendenze di oligopolio o monopolio in un capitalismo digitale che sta diventando centrale nei processi di accumulazione attuale, e in particolar modo in una congiuntura pandemica che ha visto la definitiva ascesa, tra gli altri, di colossi come Amazon, Alibaba, Facebook.

Prima degli attuali procedimenti giudiziari, le problematiche specifiche dei lavoratori delle piattaforme del food-delivery erano emerse in un ciclo di mobilitazioni a livello globale a cui il caso italiano ha contribuito con esperienze specifiche e significative di rinnovo dell’azione collettiva sindacale. Le piattaforme digitali e le loro dinamiche perverse di gestione e controllo della forza lavoro si possono contrastare, se i lavoratori si organizzano collettivamente. Le mobilitazioni dei ciclofattorini italiani, promosse dalla rete nazionale Rider X i Diritti – sigla che raccoglie sia esperienze di sindacato informale metropolitano che sindacati confederali – in opposizione al contratto “capestro”, firmato tra e da Assodelivery e UGL nell’autunno del 2020, stanno dimostrando proprio questa nuova capacità di incidere in un mondo del lavoro dai contorni finora sfuggenti. 

I ciclofattorini italiani contestano in toto il contratto e rivendicano diritti per tutte/i le/i lavoratrici/ori. Queste le loro richieste: no al cottimo e alle prestazioni occasionali, un monte-ore garantito con paghe orarie agganciate a un contratto collettivo nazionale (che può essere individuato in quello della logistica o del commercio) e il riconoscimento dei diritti dei lavoratori subordinati (come tredicesima, Tfr, congedo di maternità/paternità, ferie e malattia). C’è la volontà di portare avanti una controffensiva a livello nazionale in maniera coordinata nei prossimi mesi. 

La settimana scorsa, in data 25 febbraio, si è tenuta la prima assemblea nazionale dei ciclofattorini, promossa da Rider X i Diritti, in modalità telematica, per discutere lo stato delle negoziazioni in corso con le piattaforme del food-delivery, gli effetti dell’accordo UGL-Assodelivery sul settore e il successivo taglio generalizzato delle tariffe. Inoltre si è imposta l’esigenza di rafforzare la rete nazionale con l’idea di coordinare tutte le realtà locali allo scopo di lanciare una campagna di mobilitazione nazionale per incidere sul piano politico generale.  

L’assemblea del 25 febbraio, che ha avuto una straordinaria partecipazione di lavoratrici e lavoratori da 32 città, connesse da Nord a Sud, e la copertura totale di tutte le piattaforme del settore, ha proclamato una giornata di mobilitazione nazionale per venerdì 26 marzo 2021. L’assemblea ha invitato tutte e tutti i lavoratori e le lavoratrici ad incrociare le braccia quel giorno nelle forme e nelle modalità in cui ogni territorio deciderà di partecipare, sollecitando inoltre la clientela delle app a non usufruire del servizio in quella data, in solidarietà alla lotta. L’obiettivo di questa campagna di mobilitazione è articolato e ambizioso, come hanno sottolineato diversi interventi di lavoratori e infine nell’intervento conclusivo di Tommaso Falchi di Riders Union Bologna

Da un lato c’è la volontà di allargare il fronte delle lotte e soprattutto dell’organizzazione collettiva anche alle piccole e medie città italiane e ai territori più disparati, dove ancora non ci sono state esperienze di mobilitazione. Dall’altro c’è l’obiettivo più ambizioso di coordinare un piano di mobilitazione a livello generale per “sferrare un attacco politico alle piattaforme”. 

La convinzione, ribadita da molti interventi, è che il momento di pandemia che viviamo sia propizio. Nessuno infatti può più ignorare la crescita di questo strano esercito colorato nelle strade deserte delle città in questi mesi di lockdown pandemico. I ciclofattorini sono stati e sono tutt’ora lavoratori essenziali per le nostre vite sospese, al pari di altre categorie di lavoratori della “riproduzione sociale”, a cui devono spettare tutti i diritti e le tutele piene della subordinazione. 

C’è da ricordare che in questi anni le lotte dei lavoratori delle piattaforme di food-delivery hanno acquisito un significato politico più ampio, che va ben oltre la loro categoria, simboleggiando la reazione politica di una nuova generazione di lavoratori precari e sfruttati, che si oppone alle politiche del lavoro del neoliberismo, anche nella sua fase di crisi. È su questa direzione che si vogliono muovere anche i ciclofattorini italiani che, con questa campagna di mobilitazione nazionale, puntano a promuovere alleanze e coalizioni sociali con altre categorie di lavoratori essenziali parimenti sfruttate. Insomma, come è stato sempre detto e ribadito in tutte le iniziative politiche di questi mesi, la battaglia che questi lavoratori stanno combattendo “non è per noi ma per tutti”, e per questo motivo cercano di attivare processi di solidarietà con altri lavoratori coinvolgendoli nella partecipazione e nella lotta.