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Finanza etica per una nuova Europa

Ecco gli ingredienti della ricetta della Finanza Etica per salvare l’Europa dalla disgregazione e rimettere la solidarietà e la cooperazione al centro della sua missione.

Nuove regole per arginare la speculazione e per chiudere il casinò finanziario; stop alla demonizzazione della finanza e della spesa pubblica; sostegno alla finanza etica che favorisce lo sviluppo sostenibile e l’economia solidale. Sono questi gli ingredienti della ricetta della Finanza Etica per salvare l’Europa dalla disgregazione e rimettere la solidarietà e la cooperazione al centro della sua missione.

Il documento è stato elaborato dalla Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) in occasione dei 60 anni dall’inizio del processo di integrazione europea che si celebrano a Roma il 25 marzo. La Fondazione Finanza Etica è tra gli aderenti a “La Nostra Europa”, una coalizione di associazioni, movimenti e organizzazioni nata per cambiare rotta all’Europa delle diseguaglianze, dell’insicurezza sociale, dei muri e delle spinte nazionaliste e reazionarie, e per promuovere un’Europa unita, democratica e solidale. Nell’ambito di tale percorso, la Fondazione ha redatto un documento con le proposte della finanza etica.

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Ecco una sintesi:

Introduzione
In pochi anni abbiamo assistito a un incredibile ribaltamento dell’immaginario collettivo. Mentre vengono imposti limiti durissimi alle finanze pubbliche, dall’austerità al fiscal compact, poco o nulla è stato fatto per bloccare gli eccessi del sistema finanziario privato, malgrado le sue enormi responsabilità nell’attuale crisi. Paradossalmente si sta riaffermando in Europa la visione opposta, accentuando la subordinazione delle autorità pubbliche al mercato e ai suoi strumenti. Secondo tale visione solo la finanza privata, e solo se liberata da lacci e lacciuoli, potrebbe rilanciare la crescita. E’ esattamente l’impianto teorico che ci ha portato nella crisi attuale ed è la direzione opposta a quella in cui si dovrebbe andare. Le istituzioni europee continuano però a promuovere una tale visione e a centrare le politiche sul “ridare fiducia ai mercati” e su una competitività assunta come valore in sé. Un’impostazione che sta minando la regola d’oro di tutta la costruzione europea, la solidarietà, che non orienta più l’azione comune degli Stati, che si tratti dell’economia, dei migranti o delle politiche sociali.

Analisi
1. La finanza è l’epicentro della crisi. Spesso si dimentica, ma questa è la realtà. E non solo della crisi del 2008: essa ritorna continuamente ad ogni successivo avvitamento della spirale della crisi che non abbandona l’Europa. Se le questioni economiche in senso lato hanno conquistato (forse, fin troppo) il centro del dibattito, gli unici temi finanziari di cui si discute sono l’uscita o meno dall’euro e la finanza pubblica; mai del sistema finanziario privato che è stata causa scatenante e persistente della crisi stessa.

2. La regolamentazione della finanza privata è scomparsa dall’agenda europea. Dopo la crisi dei subprime abbiamo letto un profluvio di dichiarazioni sulla necessità di regolamentare la finanza. Oggi possiamo dire che nessun serio tentativo di regolamentazione è stato fatto, e si rischia di smarrire ogni spinta. Dall’altro lato c’è una pressione durissima sulla finanza pubblica. L’austerità rimane la stella polare delle politiche economiche malgrado l’evidenza di un fallimento non “solo” sociale e occupazionale, ma persino economico, dal momento che ha inibito la ripresa degli investimenti, mentre persino il rapporto debito/PIL continua a peggiorare.

3. Quali responsabilità? Mentre la finanza ha scaricato le proprie responsabilità sugli Stati e il loro debito, i peggiori populismi portano l’opinione pubblica a concentrarsi su chi sta sotto e non su cosa c’è sopra. Il problema sarebbero i migranti che rubano il lavoro, non un sistema finanziario che ci ha trascinato in questa crisi e esaspera le diseguaglianze.

4. Il fallimento della finanza. Mentre si strangola la finanza pubblica, la BCE inonda i mercati di denaro tramite il Quantitative Easing, con effetti paradossali. Ci sono talmente tanti soldi che i titoli di Stato sono ormai a rendimento negativo, ma agli Stati è proibito indebitarsi anche per investimenti a lungo termine, per una riconversione ecologica dell’economia o per ricerca e formazione. Nello stesso momento né credito né economia ripartono. In Italia si parla di banche quando scoppia un’inchiesta o uno scandalo sul singolo istituto. Non c’è una riflessione sistemica perché non si vuole riconoscere l’esistenza di un problema sistemico. Eppure domanda e offerta di denaro non si incontrano. Eccesso di liquidità da un lato, bisogni fondamentali dei cittadini insoddisfatti dall’altro fanno della finanza il più macroscopico fallimento che abbiamo sotto gli occhi.

5. Euro o non euro? Il peccato originale dell’Europa è in un’unione dei mercati, della moneta e dei capitali senza unione fiscale e dei diritti. Così a fronte di un’unica banca centrale ogni Paese deve gestirsi autonomamente il proprio debito pubblico, mentre un’unica moneta viene condivisa tra nazioni con enormi diversità per struttura economica, forza produttiva, inflazione e altre caratteristiche. Se l’Europa appare impantanata in mezzo a un guado, crediamo non sia però possibile tornare indietro, riportando le lancette dell’orologio a prima del 2001. Se è stato sbagliato il modo con cui si è costruito l’euro, non significa che oggi sia giusto né opportuno uscirne. Dobbiamo lavorare per un’unione fiscale che superi l’attuale competizione tra Paesi e la presenza di veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’UE, così come dobbiamo lavorare per un’armonizzazione economica, sociale e dei diritti per recuperare il ritardo accumulato rispetto alla sola unione monetaria e dei capitali.

Proposte
6. Promuovere la finanza etica in Europa. A questo parossistico stato di cose, la finanza etica contrappone un progetto di cambiamento profondo del sistema finanziario, lungo diverse direttrici. La prima riguarda la crescita della consapevolezza sull’uso dei nostri soldi e un’educazione critica alla finanza, per comprendere e divenire consapevoli delle decisioni in ambito finanziario. La finanza etica propone un modello fondato su trasparenza, partecipazione e un uso responsabile del denaro, che rifiuta fallimentari visioni di brevissimo respiro per considerare gli effetti non economici e a lungo termine delle proprie attività.

7. La dimensione europea è decisiva per la finanza, ma oggi il peso delle lobby finanziarie condiziona pesantemente le scelte delle istituzioni. L’educazione critica serve anche per far crescere la consapevolezza di quanto sia necessaria una azione di “contro-lobby”. E’ quanto fanno reti come Finance Watch su scala europea. In Italia con l’ultima Legge di Stabilità è stata finalmente riconosciuta la finanza etica. Occorre adesso rafforzare tale percorso e promuoverne uno analogo su scala europea.

8. Regole europee. E’ necessaria una pressione e un impegno sulle istituzioni europee per l’approvazione di una tassa sulle transazioni finanziarie, così come sulla separazione delle banche commerciali da quelle investimento, sui paradisi fiscali, sulla limitazione dei bonus dei manager, sull’estensione dell’applicazione del principio precauzionale contenuto nel Trattato di Maastricht anche all’ambito finanziario.

9. Torniamo a parlare di controlli sui capitali. Se c’è stato un vincitore della globalizzazione questo è la libera circolazione dei capitali. Dall’impossibilità per gli Stati di agire nell’interesse dei propri cittadini alla competizione esasperata, dalle delocalizzazioni selvagge fino allo scandalo dei paradisi fiscali, dall’ipertrofia finanziaria all’aumento scandaloso delle diseguaglianze, l’abbattimento di ogni controllo sui movimenti di capitale è al cuore dei problemi. Mentre l’Europa dei muri vuole impedire i movimenti delle persone e si torna a parlare di dazi per proteggere i prodotti, incredibilmente l’unica cosa di cui non si discute è come controllare i capitali. Con la Direttiva sull’Unione del Mercato dei Capitali, l’UE nuovamente rischia al contrario di spingersi in direzione diametralmente opposta a quella che andrebbe presa.

Per tutti questi motivi è necessario quanto urgente un radicale cambiamento di rotta. Per salvare il progetto e gli ideali europei e per ripartire su binari radicalmente differenti, dove al dominio di finanza e mercati e di una competitività esasperata si sostituisca la visione di un’Europa unita, democratica, solidale.