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Di padre in figlio. L’Italia che non cambia

La distribuzione del reddito in Italia risente delle caratteristiche della famiglia di origine. Stralcio da un articolo del dossier di MicroMega sull’eguaglianza, che sarà discusso lunedì 13 maggio a Roma

La misura più utilizzata dagli economisti per quantificare l’associazione dei redditi di genitori e figli è il coefficiente di elasticità intergenerazionale dei redditi, che indica di quanto aumenta il reddito del figlio all’aumentare di un punto percentuale di quello del genitore (…).

Sulla base di questo indicatore è possibile delineare una graduatoria dei paesi Ocse in termini di trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze dei redditi. I paesi nordici e il Canada sono caratterizzati da un grado di fluidità sociale relativamente maggiore, mentre Stati Uniti (contrariamente alla visione romanzata della “terra delle opportunità”), Svizzera, Regno Unito e Italia sono (e di molto) i paesi con maggiore persistenza intergenerazionale delle diseguaglianze salariali (…).

Ma modelli teorici e analisi empiriche spesso indagano la persistenza intergenerazionale senza distinguere gli effetti che il background familiare può esercitare nelle diverse fasi della vita individuale, in particolare nella fase formativa (l’effetto “indiretto”) e – a parità di istruzione – in quella lavorativa (l’effetto “diretto”). Distinguere questi due effetti può invece aiutare a capire perché i paesi differiscano tanto in termini di diseguaglianza intergenerazionale: un basso β (coefficiente di elasticità intergenerazionale, ndr) può ad esempio dipendere sia da una debole influenza del background in ogni fase di vita, sia dall’assenza di impatto in uno specifico snodo.

Da questa prospettiva, si evidenzia che in tutti i paesi occidentali i livelli di istruzione raggiunti dai figli risentono significativamente, e in misura non troppo dissimile, delle caratteristiche della famiglia di origine. La graduatoria dei β non sembra quindi attribuibile a una diversa capacità dei paesi di mitigare l’effetto delle origini familiari sui titoli di studio dei figli.

Le differenze principali potrebbero quindi emergere in relazione al funzionamento del mercato del lavoro, alle caratteristiche individuali maggiormente remunerate dai datori e ai meccanismi che regolano l’accesso e la successiva dinamica di carriera.

Utilizzando come proxy delle caratteristiche familiari il più elevato gruppo occupazionale del padre o della madre (confrontando quindi i figli di dirigenti e impiegati con quelli degli operai) si può stimare se i redditi annui da lavoro siano associati al background, a parità di istruzione e di altre caratteristiche “osservabili dei figli” (età, genere, esperienza lavorativa). In altri termini, si stima se, a parità di esito raggiunto nello stadio precedente, i redditi da lavoro siano connessi al background familiare e contribuiscano, dunque, ad amplificare la trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze che si manifestano nel percorso di istruzione.

L’esercizio è stato condotto per otto paesi dell’Unione europea – Finlandia, Danimarca, Germania, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito e Irlanda – rappresentativi di diversi modelli sociali e caratterizzati da differenti livelli di diseguaglianza corrente e intergenerazionale. Esso è stato reso possibile dalla diffusione dei micro-dati dell’indagine Eu-Silc (European Union Survey on Income and Living Conditions) del 2005 (…).

Contrariamente a quanto si osserva per i livelli di istruzione, differenze tra paesi ampie e significative emergono quando si stima l’associazione fra redditi da lavoro dei figli e occupazione dei genitori, a parità di titolo di studio dei figli. Al riguardo si rileva che, mentre nei paesi nordici l’associazione fra background e retribuzioni è statisticamente non significativa, in Irlanda e Germania rispetto ai figli degli operai solo i figli dei dirigenti godono di un vantaggio, mentre, sempre a parità di istruzione, in Francia, Spagna, Italia e Regno Unito (paesi caratterizzati dal β più elevato) le retribuzioni dei figli crescono con il livello occupazionale dei genitori. In Italia, ad esempio, rispetto ai figli degli operai, i figli di dirigenti e impiegati ricevono in media un “premio” salariale pari, rispettivamente, al 18,1% e all’8,6%.

Ancora più rilevante è osservare che, anche a parità di macro-gruppo occupazionale dei figli (dirigenti, impiegati, operai), il premio di background si mantiene stabile e significativo in Italia, Spagna e Regno Unito, mentre in Irlanda è significativo per i soli figli dei dirigenti. Inoltre, studi ulteriori segnalano come nel Regno Unito tale premio sia legato principalmente all’esistenza di un “soffitto di vetro” che impedisce a chi proviene da contesti familiari meno avvantaggiati di raggiungere le posizioni apicali, mentre in Italia esso è associato all’esistenza di un “paracadute” che permette ai figli dei dirigenti che non raggiungono il livello occupazionale dei loro genitori di mantenere comunque un vantaggio retributivo nei confronti di chi raggiunge invece lo stesso gruppo occupazionale provenendo da un’origine meno avvantaggiata.

La relazione stimata fra occupazione dei genitori e redditi da lavoro dei figli differisce quindi ampiamente fra paesi e i risultati raggiunti sono coerenti con la classificazione dei paesi per grado di diseguaglianza intergenerazionale e con l’appartenenza a diversi regimi di welfare. Sembrerebbe quindi che a spiegare livelli di β così differenziati contribuiscano soprattutto gli effetti “diretti” del background familiare, ovvero quelli non mediati dai livelli di istruzione formale.

I dati a disposizione non consentono di identificare le fonti della correlazione fra background e salari a parità di istruzione. Sintetizzando quanto detto in precedenza, possiamo però immaginare almeno cinque diversi meccanismi che, agendo attraverso canali economici, culturali e sociali, potrebbero determinarla: a) chi proviene da un background migliore riceve un’istruzione di migliore “qualità” (o percepita dai datori come tale) e, di conseguenza, maggiori retribuzioni (in tal caso l’effetto “diretto” sarebbe in realtà un effetto “indiretto” mediato dalla qualità dell’istruzione); b) le origini familiari potrebbero incidere, a parità di titolo di studio, su alcune caratteristiche individuali che condizionano poi significativamente le prospettive reddituali individuali, in primo luogo lo stato di salute e le soft skills; c) chi ha maggior reddito, o migliori relazioni sociali, ha maggiore facilità a intraprendere (o proseguire) attività autonome e professionali ben remunerate; d) chi ha maggiori difficoltà economiche incorre in un maggior costo opportunità nel cercare la migliore opportunità lavorativa. Tale costo opportunità aumenta quanto più le scelte individuali sono vincolare dalle scelte familiari. Ciò induce i meno abbienti a cercare meno, accontentandosi presto del lavoro ottenuto, senza attendere quello che meglio soddisfa le loro aspirazioni o offre migliori prospettive a lungo termine; e) l’appartenenza a social networks più svantaggiati impedisce di accedere ai lavori più remunerati.

D’altro canto, distinguere in quale misura l’effetto “diretto” del background familiare possa essere collegato a ciascuno di questi meccanismi è molto rilevante sotto il profilo della policy. Infatti, mentre appare difficile nel medio-breve periodo alterare i meccanismi di trasmissione delle soft skills, si può provare a intervenire, con vari strumenti, sugli altri quattro aspetti. Ad esempio, aumentare la competizione nel mercato dei beni o delle professioni o favorire la creazione di una struttura produttiva più innovativa potrebbe attenuare il ruolo di meccanismi di assunzione basati su conoscenze e legami informali. Di contro, rafforzare gli interventi di sostegno al reddito nelle fasi di disoccupazione, o introdurre forme di reddito minimo per chi ha appena terminato il percorso di istruzione, può avere effetti positivi sulla qualità dei lavori trovati specialmente per chi proviene da famiglie meno abbienti e ha quindi più difficoltà a mantenersi nella fase della ricerca di lavoro. Essere choosy nella scelta del primo lavoro anziché accettare un primo lavoro “inferiore” che può poi condizionare negativamente il successivo sviluppo della carriera può quindi essere una scelta razionale in attesa delle migliori opportunità. Il vero problema su cui si dovrebbe incidere è invece che, come tante altre, anche tale possibilità di scelta non a tutti è concessa.

Qui il testo integrale dell’intervento
Appuntamento

Le ragioni dell’eguaglianza, una discussione sull’Almanacco di economia di MicroMega, “Il ritorno dell’eguaglianza”. Introducono Andrea Brandolini, Daniele Checchi, Elena Granaglia e Massimo Mucchetti. Intervengono Nicla Acocella, Emilio Carnevali, Sergio Cesaratto, Paolo De Ioanna, Mauro Gallegati, Raffaello Lupi, Mario Pianta, Massimo Pivetti, Alessandro Roncaglia, Roberto Petrini, Michele Raitano, Pietro Reichlin. Coordina Maurizio Franzini.

Roma, lunedì 13 maggio, ore 15 – 18,30 presso la Facoltà di Economia, via del Castro Laurenziano 9

Tratti dallo stesso Almanacco, sono già usciti su www.sbilanciamoci.info

• L’Italia disuguale, invisibile alla politica di Mario Pianta

• Una “spending review” di sinistra? di Paolo De Ioanna