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Cop21, tre ore di ritardo e tre gradi in più

Parigi, la discussione di dieci giorni abbondanti a Cop21 è un capitolo sconclusionato ma pieno d’interesse. Due ore di tempo, domenica 13, ai delegati di 195 Paesi per esaminare il documento finale

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Le cinque W del bravo cronista sono diventate tre: Who? What? When? Chi, cosa, quando? Il comunicato finale di Cop21 è eventualmente previsto per domenica 13 dicembre, ma sono in pochi a crederci davvero, a pensare che sia davvero finita. La fine senza fine della COnferenza delle Parti, Cop21 si riassume così.

CHI è tenuto a sostenere l’onere del contenimento della temperatura del pianeta sotto due gradi centigradi, tanto per utilizzare la misura abitualmente prescelta? Certo si tratta dei paesi sviluppati, ma quali sono? Quelli di una volta o anche altri, più recenti? Quelli che da duecento anni fanno il bello e cattivo tempo, fanno le guerre e spartiscono i continenti, quelli che hanno dato vita all’industria inquinante e ai trasporti a carbone e nafta, quelli che hanno inventato motore a scoppio, automobile, carro armato e jet, oppure sono quelli che non lo hanno fatto in passato, ma adesso fanno le stesse cose, adesso inquinano? Per non girare troppo intorno, Cina sì o Cina no?
COSA devono pagare i paesi inquinanti, una volta che siano stati individuati? Le devastazioni accumulate in duecento anni, oppure, tutto insieme, industria per industria, casa per casa, i guasti presenti e futuri? Qui entra in campo anche l’India che per cucinare e sopravvivere si industria a bruciare carbone e tutto quello che si può bruciare; e così il Brasile che distrugge foreste, per farne campi agricoli, oppure la Russia che sconvolge pianure per coltivare il cotone e sconfiggere la natura.
QUANDO infine intervenire e regolare i conti? Il contenimento delle temperature pericolose è per fine secolo o per metà secolo? Oppure la data è prima ancora, la scadenza del pianeta è per i fatali anni trenta?

All’Onu – Nazioni Unite – si contano appunto le Nazioni, i paesi come diciamo noi “democratici”. Nel preambolo dell’Onu è scritto “Noi Popoli…”, ma poi di popoli si parla poco. Così avviene che Usa, Cina (o Italia) inquinino tutto in una volta, in un unico conto. Tizio che è ricchissimo ha la stessa responsabilità verso la temperatura di due gradi da non scavalcare, di Caio che fa il barbone e quindi vive nei cartoni e mangia quando può. Le comunità non contano e di regola si aboliscono o si confinano o si sterminano in vista del benessere generale, o comunque del sistema di regole imposte dagli Stati e dalle loro organizzazioni, come NATO o UE o NAFTA. Le grandi imprese i sistemi finanziari giganteschi non hanno confini da rispettare, anzi sono motivo di orgoglio per la città o la regione da cui sono partiti. Il rapporto tra multinazionali da un lato e Regioni, Stati, Organizzazioni Internazionali dall’altro sono retti da lobby che conoscono il fatto loro e sanno convincere, mediare; quando è il caso, corrompere.

La discussione di dieci giorni abbondanti a Cop21 è un capitolo sconclusionato ma pieno d’interesse… Non si è trattato solo delle tre W, all’aeroporto Le Bourget di Parigi. C’è dell’altro Anche se gli estremisti ambientali – tutti i barboni della terra – erano rimasti fuori, il loro suggerimento era presente. E se – dicevano i barboni – i fossili (carbone, gas, petrolio) li lasciassimo sottoterra, una volta per sempre? Molti gruppi di “nativi”, entrati con qualche scusa nel recinto proibito, al seguito di questa o quella delegazione ufficiale, lo ripetevano con parole loro, convinti di avere ragione e poco preoccupati di avere poco ascolto. Lontano, in Italia, queste posizioni di estremo buonsenso si sono talvolta sentite. Erano per esempio rilanciate, perfino in Italia, da associazioni come “A Sud”, rappresentate da Marica Di Pierri, portavoce. Una simile posizione potrà sopravvivere quando oramai Cop21 sarà per il resto interamente dimenticato. In estrema sintesi si tratta di questa riflessione:

“…È nel dopoguerra che si consolidano le basi industriali di un capitalismo dipendente dai combustibili fossili, e di una cultura fondata su un modello di consumo infinito, intensivo, estensivo e distruttivo. Questo modello ha visto anche l’espansione di miniere e di una pratica agricola industriale strettamente legata ad alti consumi di petrolio. Questa dipendenza dai fossili, non solo ha un impatto negativo sul clima in generale, ma sta provocando malattie degenerative e mortali di cui sono vittime milioni di persone, inonda il pianeta di rifiuti non degradabili, distrugge centinaia di colture tradizionali – modificando usanze e abitudini sane ed ecologiche, e continua a causare crisi economiche, sociali, politiche e ambientali che favoriscono l’espansione e l’accumulazione di capitale.”…

Sono temi che richiamano Oilwatch o Allegato 0 (che si chiama così per distinguersi dagli allegati 1 e 2 che dividono, nel dopo Kyoto, le nazioni ricche dalle altre). Suggeriscono un intervento ambientale tutt’altro che leggero, ma possibile e forse necessario per evitare grandi sofferenze all’intera popolazione umana dei paesi più esposti e di conseguenza a tutti quanti.

In attesa che la questione si risolva, o, che rimanga sospesa (ciò che è più probabile) per taluni pochi insolubili interrogativi in discussione, è utile vantare almeno i progressi raggiunti durante Cop21. Il primo, innegabile, è la riduzione delle pagine scritte e delle parentesi quadre. Riassumiamo il caso per i pochi ancora non al corrente. Nel corso della discussione verso un risultato convincente e tale da sostituire il vecchio patto ambientale “Kyoto”, firmato da non tutti i paesi nel 1997 e comunque in scadenza, si è elaborato, nel corso di mesi e settimane, un testo di quarantotto pagine che è stato fatto girare tra governi e addetti ai lavori. I lettori hanno osservato, con raccapriccio alcuni, con soddisfazione altri, che nelle pagine vi era una grande quantità di parentesi quadre, molto fitte in ogni passaggio decisivo. Con candore, gli estensori hanno reso noto che per far presto, ogni volta che si presentava un contrasto, esso era risolto indicando così le due o le tante posizioni emerse. Per fare un solo esempio, servendoci delle cifre rese note, la temperatura massima accettabile era indicata fino all’ultimo in – tra parentesi – non più di due gradi centigradi, oppure – tra parentesi – molto meno di due gradi, oppure – tra parentesi – meno di 1,5 gradi. Nel corso dell’Assemblea le pagine del documento sono passate da 48 a 29, (27 in una versione più stringata) le parole (lingua inglese) contenute da 34.678 a 19.733 e le parentesi quadre da 1.609 a 366. Qualenergia.it cui dobbiamo le cifre, pubblica anche un agile grafico per mostrare le curve delle parole e delle parentesi nelle stesure del testo che si sono succedute, durante la lunga discussione.

Chi paga per la grande conferenza di Parigi? Chi firma gli assegni? Naturalmente l’Onu, le Nazioni più ricche, soprattutto la Francia che organizza e comanda. Nessun altro contribuisce? Proprio nessuno? C’è però una parte consistente della spesa complessiva, un quinto, che come si viene a sapere, è a carico di contributori privati. Grandi imprese, multinazionali, si può presumere.

“Tra gli sponsor di Parigi ad esempio troviamo Engie (già Gaz de France-Suez), Suez Environment, il gruppo bancario BnpParibas, Energie de France. Si da il caso che Engie sia proprietaria di 30 centrali a carbone sparse per il mondo (tra cui quella di Vado Ligure, oggi chiusa per ordine della magistratura); in generale produce buona parte della sua energia con nucleare e combustibili fossili (solo il 5% con fonti rinnovabili). BnpParibas investe in Canada nelle sabbie bituminose, una delle fonti più controverse per il suo impatto ambientale. …Sponsorizzare la Conferenza sul clima, da parte di grandi inquinatori, è quello che gli ambientalisti chiamano greenwashing, darsi una facciata “verde”? Sì, certo, ma non solo: è anche lotta ideologica, interessi privati nelle politiche pubbliche. …”

Sostiene Marina Forti, dal cui blog è tratto il brano che precede “Conflitto d’interesse sul clima”, che a fianco del salone in cui si tiene la conferenza si svolgono fitti incontri riservati in cui le maggiori imprese multinazionali, mettendo in campo dirigenti ed esperti, svolgono i propri affari: comprano, vendono, propongono accordi. Rappresentanti dei poteri privati sono anche dentro la Conferenza, fiancheggiano le delegazioni, ne ispirano le mosse, svolgono il ruolo decisivo di sherpa.

Nel mar dei sargassi in cui la conferenza si blocca, scatta poi la trappola di Greenpeace. Un militante si è finto emissario di un’impresa carbonifera australiana, oppure di un potentato del petrolio mediorientale e ha convinto taluni professori di gran nome (celebri università, agenzie di governo) a diffondere a pagamento dichiarazioni “negazioniste” cioè tali da mettere in dubbio la responsabilità umana nel riscaldamento globale nonché articoli dello stesso segno, senza mai rivelare il nome del committente. Letto su Le Monde o su altri giornali democratici l’effetto è garantito. Si pensa immediatamente alle menzogne che la scienza o i giornali ad alta tiratura o tutti insiemeo uno contro l’altro, propinano al pubblico, spaventato e ansioso di sapere. Il dubbio è indispensabile alla scienza; ma il seme del dubbio dà luogo talvolta a piante velenose. Come credere alla buonafede, alla verità di chi dubita al tuo fianco? Il risultato è una comprensibile sfiducia, con il risultato della perdita d’interesse e la rinuncia alla mobilitazione e all’impegno.

Le 5 caratteristiche del negazionismo climatico. Tutte le forme di negazionismo scientifico condividono 5 caratteristiche. In occasione di Cop21 ricordiamo perché è importante conoscerle

Nell’articolo di Wired.it sono descritti i Falsi esperti, le Fallacie logiche, le Aspettative impossibili la scelta di Cogliere le ciliegie e infine il Complotto che secondo uno studioso del problema, John Cook, sono tutte presenti contemporaneamente tra i negazionisti.

Che il negazionismo scientifico sia stato spesso foraggiato particolari gruppi di interesse è un fatto accertato: recentemente si è addirittura scoperto che la Exxon negli anni ’80 già conosceva gli effetti della sua attività sul clima, ma invece di cambiare rotta (come qualcuno proponeva) ha cominciato a finanziare il dissenso. Cogliere le ciliegie significa sceglier le opinioni favorevoli e scartare il resto.

L’associazione ambientalista Greenpeace non si è limitataa mettere in guardia contro i raggiri dei falsi scienziati. Essa è anche all’origine di un’altra iniziativa importante: una lettera aperta al premier indiano Modi. La data è quella del 4 dicembre, la firma è di KumiNaidoo, direttore esecutivo di Greenpeace,

Climate change was not made in India, but the price is being paid in India. Could the grounds for a solution now be laid by India? Could you, the political leader of nearly one-fifth of humanity, make history by securing a deal for the world?
(…) India can take the millions of people who are energy poor out of energy poverty much faster by relying on new technologies instead of yesterday’s fuel sources. (…)
I have seen the huge potential of clean energy to change lives in India – bringing jobs, energy access, water for agriculture, and other benefits. Greenpeace was delighted to see you launch the Solar Alliance here in Paris on Monday.

Il cambiamento climatico non nasce in India, ma il prezzo sarà pagato in India. Una soluzione si può trovarla in India? Sarà lei, leader politico di circa un quinto dell’umanità, a passare alla storia per avere assicurato un patto per il pianeta?
India può sollevare milioni di persone prive di energia dalla scarsità energetica molto più in fretta utilizzando le nuove tecnologie invece delle fonti di combustibile di ieri (…)
Ho visto l’enorme potenziale dell’energia pulita che cambia le vite in India – portando occupazione, accesso all’energia, acqua per l’agricoltura, e altri benefici. Greenpeace era estasiata assistendo al suo lancio dell’Alleanza per il Sole qui a Parigi, lunedì.

Uno sforzo inutile. “L’intesa è stata raggiunta questa mattina presto, ma il testo deve essere tradotto e consegnato ai delegati di 195 Paesi che hanno un paio d’ore per esaminarlo. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, si è detto “fiducioso” sul fatto che si arriverà all’accordo. Le trattative finali si sono concentrate su tre questioni che hanno ostacolato l’intesa: quanto ambizioso sarebbe dovuto essere l’accordo sul clima, la differenziazione tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo e i finanziamenti a questi ultimi”. Così repubblica online la mattina di domenica. Può il futuro (umano) di Terra dipendere da due ore di affrettata lettura, oppure dalle tre ore di ritardo lamentate da dignitari tuttofare? Certo, vi saranno tre ore in meno per sbaraccare Le Bourget in vista del prossimo convegno. Vi sono tre ore di ritardo, ma il presidente Hollande – a urne elettorali aperte in Francia – verrà lo stesso alla passerella finale. Fuori i soliti maleducati protesteranno: così la temperatura del pianeta crescerà di tre gradi.