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Continua il massacro in Yemen … e l’invio delle bombe italiane

Il 16 gennaio scorso da Cagliari è partito l’ennesimo carico di bombe diretto in Arabia Saudita. La ministra Pinotti continua a ripetere che «è tutto regolare», ma non è così. Le nostre leggi prevedono che non possiamo vendere materiale bellico a Paesi in conflitto. E l’Arabia lo è.

ocha-bd_1659522Altro attacco della coalizione saudita a Medici senza frontiere in Yemen: nel pomeriggio di giovedì 21 gennaio, il raid aereo ha ucciso un autista del centro di Al Gomhoury a Dhayan. La morte è avvenuta nell’area di un precedente bombardamento: la gente era accorsa per assistere le vittime, ma la zona è stata colpita ancora e l’ambulanza dell’Ong è stata distrutta nell’ultimo bombardamento, il terzo. Un ragazzino di 17 anni, Hashim al-Homran, ha filmato il ripetuto e cinico attacco all’ambulanza: poi è morto, per le ferite dei colpi ricevuti.

È la quarta volta da ottobre che Medici senza frontiere viene attaccata. Il 10 gennaio è toccato all’ospedale di Shiara nel Razeh, distretto nel nord dello Yemen. Sul campo sono rimasti sei cadaveri e sette feriti, ma in tutto il Paese sono 130 le strutture sanitarie coinvolte nel conflitto, colpite da missili lanciati da terra o da attacchi aerei.

Chissà se le bombe che hanno ucciso l’autista di Medici senza frontiere e l’adolescente Hashim sono made in Italy. Il dubbio è legittimo: dall’Italia continuano a partire pezzi per gli ordigni sauditi. L’ultimo lotto è partito dall’aeroporto civile di Elmas-Cagliari il 16 gennaio. Come ha documentato con foto il deputato sardo Mauro Pili (Gruppo Misto-Unidos), la sera prima, alle 22, era iniziato il trasferimento dai tir alla stiva di un Boeing 747 della compagnia azera Silk Way. Durante la notte, il cargo è decollato per Taif, base militare saudita vicino alla Mecca.

Non è la prima volta che succede: da mesi, via aerea e via mare, componenti delle bombe partono dalla Sardegna per il Golfo. Alle proteste di Rete Disarmo, Osservatorio Opal, Amnesty International e Comunità Papa Giovanni XXIII, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha ripetuto più volte: «Non sono ordigni italiani», «si tratta solo di transito».

In realtà i pezzi sono prodotti dalla Rwm Italia, iscritta al Registro delle imprese di Brescia con sede a Ghedi (BS) e stabilimento a Domusnovas (ex Sarda Esplosivi Industriali), provincia di Carbonia e Iglesias, di proprietà dell’azienda tedesca Rheinmetall.

Rispondendo alle tre interrogazioni depositate in Parlamento, anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il sottosegretario Benedetto Della Vedova, hanno ribadito che «è tutto regolare».

Peccato che la Legge italiana 185 del 1990 vieta espressamente non solo l’esportazione, ma anche il solo transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato». Eccezioni sono possibili solo a seguito del «rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o di diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere». Quindi non è il caso della guerra che la coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita (ne fanno parte Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto) ha iniziato il 26 marzo scorso contro il gruppo armato sciita degli Houthi, senza richiedere alcun mandato e senza ricevere alcuna legittimazione da parte delle Nazioni Unite.

Ancora l’8 gennaio, il segretario dell’Onu Ban Ki-moon si è detto «profondamente preoccupato» per l’intensificazione dei raid sauditi dall’inizio dell’anno e ha chiesto un immediato «cessate il fuoco». Gli ha fatto eco dal Golfo il generale Hasan Thafar che, a nome dell’esercito saudita, alla televisione di Stato ha spiegato: «Ridurremo Sanaa (la capitale yemenita, ndr) in macerie. Non una pietra rimarrà intatta». E per tutta risposta dall’Italia è partito un nuovo carico con migliaia di bombe.

Secondo le Nazioni Unite, la guerra in Yemen ha causato più di 6 mila morti, di cui circa la metà tra la popolazione civile (più di 700 bambini), oltre 20 mila feriti, milioni di sfollati, più metà della popolazione ridotta alla fame e le agenzie internazionali definiscono la situazione come una «catastrofe umanitaria» senza precedenti.

Mentre il Governo italiano non vede problemi alla partenza dalla Sardegna degli ordigni di morte, l’Alto rappresentante per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un rapporto che documenta «fondate accuse di violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani» di tutte le parti attive nel conflitto.

Il 19 gennaio, nella città di Taiz, dieci bambini e un insegnante sono stati uccisi in un bombardamento aereo mentre tornavano da scuola. Michele Trainiti di Medici senza frontiere, si è recato sul posto e ha incontrato diversi feriti. Dice: «Una madre mi ha raccontato che i bambini stavano tornando da scuola quando hanno sentito il fischio di una bomba che si stava avvicinando. C’è stata una grande esplosione e i bambini sono stati sollevati in aria. Sua figlia Aisha non ricorda altro».

Continua il cooperante di Udine: «Sulla strada per l’ospedale abbiamo incontrato due famiglie su una moto con due bambine ancora coperte di sangue, con ferite da schegge per l’esplosione, stavano soffrendo e una di loro era in visibile stato di shock. Le abbiamo portate nel nostro ospedale di Taiz. Aisha, 13 anni, ha una frattura al piede e necessita di un intervento chirurgico per interrompere l’emorragia  alla gamba sinistra, mentre Ashjan, 7 anni, ha un grande corpo estraneo nel  ginocchio, che sembra essere entrato attraverso la parte posteriore alta della coscia e necessita di una rimozione chirurgica». “Corpi estranei” made in Italy?

Articolo tratto da Famiglia Cristiana