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Come funziona – o non funziona – il QE

Uno degli obiettivi del programma di acquisto di titoli di Stato lanciato dalla Bce è quello di fare scendere lo spread per i Paesi della periferia europea. Ma l’acquisto pro-quota significa che di fatto la Bce acquisterà molti titoli tedeschi, che hanno tassi negativi, e molti meno di Paesi quali Portogallo o Grecia, che ne […]

Il QE consiste in un intervento della Banca Centrale che compra titoli sul mercato. La BCE “crea denaro” e lo usa per acquistare principalmente titoli di Stato, (come i Btp italiani). L’acquisto viene fatto unicamente sul mercato secondario (il mercato primario è lo Stato che emette Bot o Btp e li piazza sui mercati, e in questo caso la BCE non può intervenire. Una volta che i titoli di Stato sono immessi, possono poi essere comprati e venduti tra investitori, e questo è il mercato secondario). Quanti soldi – Il QE sarà di 60 miliardi di euro al mese, almeno fino a settembre 2016 (ovvero 1.140 miliardi in 19 mesi) con la possibilità di proseguire anche oltre, in particolare fino a quando l’inflazione non risalirà a sufficienza.

Le garanzie – La BCE compra titoli di Stato del Paese X, ma se poi il Paese X fa default, ovvero non ripaga il debito? E’ stato previsto che il 20% del rischio sia a carico della BCE, mentre l’80% verrà condiviso dalle Banche Centrali dei singoli Paesi europei.

Quali titoli – La BCE comprerà titoli di tutti i Paesi dell’area euro, in proporzione alla quota che ogni banca centrale ha nel capitale della BCE (il capitale della BCE è detenuto dalla Banca d’Italia, Banca di Francia, Bundesbank, ecc… Ogni Banca nazionale ha una certa quota del capitale della BCE, e gli acquisti verranno fatti in proporzione a questa quota).

OBIETTIVI

Gli obiettivi che si spera di ottenere con il QE sono essenzialmente di due tipi. Il primo è un calo del rendimento dei titoli, il secondo un deprezzamento dell’euro.

Calo rendimento titoli – Per finanziare il proprio debito pubblico, gli Stati devono oggi rivolgersi ai mercati finanziari, che fissano il tasso di interesse (se nessuno vuole i BTP italiani perché considera l’Italia a rischio, il Tesoro deve offrire tassi di interesse sempre più alti per piazzarli – è lo spread). Se la BCE interviene comprando questi titoli di Stato, per l’Italia sarà più facile piazzarli, e quindi il tasso di interesse scenderà.

Più soldi, aumenta l’accesso al credito – Un secondo obiettivo legato direttamente al calo del rendimento dei titoli è il fatto che si liberano soldi da investire in altro modo. Le banche sono tra i maggiori possessori di titoli di Stato. Se la BCE va dalle banche private e ne propone l’acquisto, alle banche entrano “soldi freschi” che possono essere impiegati per dare credito a famiglie e imprese. A maggior ragione se i tassi sui titoli di Stato calano (vedi paragrafo precedente), per le banche private diventa sempre meno conveniente tenersi Btp e simili, e quindi saranno spinte a impiegare i soldi in altro modo. Prima di tutto, appunto, erogando credito all’economia, in secondo luogo parte dei soldi si sposterà sul mercato azionario. L’aumento della domanda di azioni ne fa alzare il prezzo, con altri vantaggi per le imprese. Il QE dovrebbe quindi permettere di rilanciare il credito e l’economia, dopo anni in cui famiglie e imprese hanno visto le banche chiudere i rubinetti (il cosiddetto credit crunch).

Deprezzamento dell’euro – E’ il secondo grande obiettivo. Più euro che circolano a parità di beni e servizi significa che i soldi tendono a “valere meno”. E’ la definizione di inflazione. La BCE tende a un’inflazione del 2%, mentre oggi buona parte dell’UE si trova in deflazione (ovvero prezzi che calano, il che ha impatti pessimi sull’economia, le vendite, su chi ha un debito, ecc…).

Deprezzamento dell’euro – C’è anche una seconda fondamentale ricaduta dal deprezzamento dell’euro: per i Paesi che usano la moneta unica, le esportazioni diventano più semplici e le importazioni più costose. Con il QE l’euro dovrebbe scendere (in particolare rispetto al dollaro, ma anche rispetto alle altre principali valute), il che dovrebbe portare diversi Paesi che adottano la moneta unica ad aumentare l’export, con ricadute positive sui conti pubblici.

PROBLEMI E CRITICHE

A leggere i paragrafi precedenti (e parte dei media), dal QE sembrano esserci unicamente vantaggi. Tutto bene quindi? Non proprio, sia perché alcuni dei vantaggi esposti hanno anche delle ricadute negative, sia perché non è detto che gli effetti siano quelli sperati.

Aumento del credito erogato. Siamo sicuri che le banche erogheranno più credito, trasferendo i soldi del QE a famiglie e imprese? Il problema attuale, per molti Paesi tra cui l’Italia, è un altro: le banche hanno delle sofferenze sempre più alte (le sofferenze sono la percentuale di prestiti erogati che non vengono restituiti, e in Italia siamo ormai intorno al 10%), questo porta le banche a non fidarsi dei clienti e chiudere i rubinetti del credito, il che aumenta le difficoltà delle imprese, e quindi le sofferenze, in una spirale che si auto-alimenta. Sui mercati finanziari ci sono oggi qualcosa come 1.200 miliardi di euro investiti in titoli a tassi negativi: già oggi molti investitori (tra cui le banche) preferiscono addirittura rimetterci qualcosa pur di parcheggiare la liquidità in porti sicuri, invece di erogare prestiti. In altre parole, il problema attuale è la trappola della liquidità. Con una nota metafora, puoi portare un cavallo al fiume, ma non puoi obbligarlo a bere, ovvero in una fase di difficoltà e sfiducia puoi immettere sempre più liquidità, ma non fare in modo che questa si trasformi in consumi e investimenti e non rimanga “incastrata” in risparmio, o peggio in attività speculative.

A conferma di tale rischio, si può osservare come le manovre messe in campo finora dalla BCE siano state del tutto inefficaci, a partire da quelle convenzionali, come l’abbattimento dei tassi di riferimento (il “costo del denaro” a cui la BCE presta alle banche) che dovrebbe permettere a loro volta alle banche di erogare più credito. I tassi sono scesi fino allo 0,05% senza risultati apprezzabili. Così come non hanno dato i risultati sperati il precedenti interventi della BCE di immissione di liquidità: i 1.000 miliardi dati alle banche negli anni scorsi con un’operazione chiamata LTRO e i primi riscontri sulla nuova operazione lanciata pochi mesi fa dalla BCE per le banche, il TLTRO, in cui ulteriore liquidità è condizionata proprio all’erogazione di credito ma che al momento non sembra funzionare.

C’è un altro enorme dubbio sulle capacità del QE di rilanciare l’economia europea: la libertà di movimento dei capitali. La BCE immette liquidità in Europa, ma quale garanzia c’è che tali capitali rimangano nell’economia del vecchio continente, in assenza di qualsiasi controllo sui movimenti di capitale e di una finanza che ragiona in millesimi di secondo? Di fatto buona parte della liquidità immessa dalla Banca Centrale giapponese con il suo QE si è riversata sui mercati finanziari internazionali, nelle economie emergenti e in operazioni speculative. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

Il rischio non è quindi unicamente quello di un QE inefficace per rilanciare credito e crescita economica. Ancora peggio, dei mercati finanziari su cui circolano sempre più soldi si potrebbero distaccare ulteriormente da un’economia che rimane al palo: la definizione stessa di una nuova bolla finanziaria. E’ vero che il QE potrebbe portare a un aumento delle quotazioni azionarie, ma tale aumento andrebbe unicamente alle fasce più ricche della popolazione e non sarebbe distribuito all’insieme della società.

In questo senso, molti segnalano che il QE ha (in parte) funzionato negli USA, dove la FED ha immesso migliaia di miliardi di dollari. C’è però una differenza di fondo tra gli Stati Uniti, dove le imprese si rivolgono principalmente ai mercati finanziari, e l’Europa, dove sono molto più legate all’erogazione di credito bancario.

Diminuzione dello spread e dei tassi. Il secondo obiettivo legato al calo dei rendimenti è quello di fare scendere lo spread, in particolare per i Paesi in difficoltà della periferia europea. E’ vero che una banca centrale che si impegna ad acquistare titoli di Stato dovrebbe tenere a freno le pulsioni speculative dei mercati, ma è altrettanto vero che l’acquisto pro-quota dei titoli dei vari Paesi europei significa che di fatto la BCE acquisterà molti titoli tedeschi, che hanno tassi già oggi negativi, e molti meno di Paesi quali Portogallo o Grecia, che ne avrebbero maggiormente bisogno.

Proprio il Paese ellenico è quello che suscita le preoccupazioni maggiori. Draghi ha già chiarito che la BCE potrà acquistare anche titoli di Paesi con un rating pessimo, ma unicamente se il Paese accetta un programma di assistenza della Troika. L’attuale programma di assistenza scade a fine febbraio. L’annuncio suona più come un commissariamento che non come un aiuto. Quale sarà il margine di manovra del nuovo governo greco?

Il secondo macro-obiettivo, il deprezzamento dell’euro, dovrebbe portare come detto ad aumentare le esportazioni. Con tutti i limiti indicati in precedenza sull’efficacia economica, se anche funzionasse, questo si tradurrebbe di fatto nell’esportare i nostri problemi. Nei giorni scorsi lo sganciamento del franco svizzero dall’euro (legato proprio all’imminente QE e all’impossibilità per la Banca svizzera di continuare a difendere un cambio a 1,2 con l’euro) ha portato a un aumento repentino del franco, con impatti molto pesanti sulle esportazioni e l’economia elvetiche. Qualcosa di analogo è avvenuto in Danimarca. Il QE si traduce di fatto in una gara alla svalutazione competitiva, secondo una politica indicata come “beggar thy neighbour” (frega il vicino). E’ su queste basi che si intende rilanciare l’economia europea?

La questione del “beggar thy neighbour” si iscrive in un quadro più ampio, che è quello di una competitività esasperata che è diventata un obiettivo in sé. La logica mercantilista che guida l’UE si può riassumere nel fatto che chi esporta di più vince. E’ una vera e propria corsa verso il fondo, sia tra Paesi europei sia tra UE e resto del mondo. Una corsa a smantellare i diritti del lavoro, a ridurre le tutele ambientali e sociali, a inseguire tassazioni sempre più basse sulle imprese. In questo senso il QE potrebbe ridursi di fatto a un’ulteriore arma in questa gara: una corsa verso il fondo anche in materia monetaria. Dobbiamo capire se il problema sia aggiungere nuove armi in questa guerra giocata sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e sulla pelle delle fasce più deboli che subiscono austerità e tagli al welfare nel nome della competitività. Piuttosto non dovremmo uscire dall’idea di una “guerra” a chi esporta di più, cambiando alla base non solo le politiche ma anche la visione d’insieme dell’Europa?

Allargando ancora lo sguardo, e anche se il QE dovesse rivelarsi efficace, colpisce come l’impostazione di fondo delle politiche economiche e le misure per uscire dalla crisi siano di fatto delegate a banche centrali sempre più potenti. Questo è vero in Paesi come USA, Giappone o Gran Bretagna, ma è ancora più vero nell’UE, dove a fronte di una BCE che determina la linea di indirizzo, le altre istituzioni sembrano latitare. In altri termini, il problema di uscire dalla crisi dovrebbe essere di politica economica, molto prima che non monetario. Dovrebbero essere governi nazionali e istituzioni europee a domandarsi cosa serva davvero all’Europa per rilanciare l’economia e l’occupazione.

La risposta alla domanda precedente è nota: in UE servirebbe un piano di investimenti. Purtroppo quello che è stato spacciato come un grande piano da 320 miliardi (il “piano Juncker”) sembra poco più di una scatola vuota, in cui i miliardi sono una ventina e il resto dovrebbe metterlo il privato. Se anche dovesse essere così – e i dubbi sono più che legittimi – il problema di fondo è che un rilancio di occupazione ed economia necessiterebbe di un forte indirizzo pubblico, per orientare gli investimenti su welfare, ricerca, formazione, transizione ecologica dell’economia. Difficile, a dire poco, che nel momento in cui si spera che i privati mettano (quasi) tutti i soldi, poi il pubblico possa dare tale indirizzo.

La debolezza dell’UE si vede anche nell’ibrido prodotto con questo QE, nel quale la BCE mette la liquidità ma poi si fa carico unicamente del 20% dei rischi connessi, mentre l’80% ricade sulle Banche Centrali dei singoli Paesi. Per l’ennesima volta una UE in mezzo a un guado, con una moneta unica e una Banca Centrale unica ma una pluralità di interessi nazionali spesso in contrasto tra di loro.

In ultimo, ma è forse l’elemento più importante, il QE e più in generale l’insieme delle politiche europee partono dall’assunto che alla base della crisi ci sia un problema di finanza pubblica, “dimenticandosi” come sia la finanza privata ad aversi trascinato nella situazione attuale. Una finanza ipertrofica e fuori controllo che è stata salvata solo pochi anni fa con migliaia di miliardi, socializzando le perdite dopo avere privatizzato i profitti. Per chiudere questo casinò finanziario privato poco o nulla è stato fatto in questi anni, anche se le proposte sono tutte sul tavolo, da una tassa sulle transazioni finanziarie alla separazione tra banche commerciali e di investimento ad altre ancora. Si parte però da una diagnosi completamente sbagliata – il pubblico è il problema, il privato è la soluzione – per proporre una cura altrettanto sbagliata – austerità per Stati e cittadini che hanno subito la crisi, liquidità illimitata per la finanza che l’ha provocata.

Il risultato di tali politiche è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi anni continuano ad aumentare le diseguaglianze tra un’élite sempre più ristretta e più ricca e la stragrande maggioranza della popolazione, sempre più povera. Povertà diffusa che, al di là degli impatti sociali, si traduce in meno consumi e un crollo della domanda aggregata, ovvero recessione, deflazione e sfiducia. Esattamente gli elementi che rischiano di rendere totalmente inefficace un QE, che all’opposto potrebbe gonfiare ulteriormente una finanza ipertrofica. E’ questo il problema di fondo che sembra non volere essere affrontato: l’elemento centrale di questa crisi non è dovuto al fatto che non ci sono soldi, ma che ce ne sono troppi. E’ che sono (quasi) tutti dalla parte sbagliata. E’ un problema di diseguaglianze e di strapotere della finanza privata. E sembra proprio che il Quantitative Easing targato Draghi potrebbe portare a un’ulteriore accelerazione in questa stessa direzione.