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Benetton: dal mercato alle rendite

Dall’abbigliamento alle autostrade e autogrill. La parabola di un gruppo che ha vissuto una mutazione genetica, partendo da un un business di successo per poi legarsi progressivamente al carro pubblico. E portandosi dietro grossi problemi di indebitamento

Il percorso imprenditoriale della famiglia Benetton appare piuttosto chiaro e abbastanza singolare.

I membri della famiglia sono partiti negli anni sessanta con un’idea di business a suo tempo molto innovativa nel settore dell’abbigliamento, idea coronata in un primo periodo da un rilevante successo di mercato e di redditività. Poi, con il tempo, tale attività si è dovuta confrontare con diversi problemi, sia di tipo interno che esterno all’impresa; in particolare, si è manifestata una importante concorrenza, costituita da marchi quali Zara o H & M, che è riuscita a mettere in rilevanti difficoltà la società, superandola per capacità innovativa, volumi di affari e redditività su quasi tutti i mercati, mentre la società incappava anche in alcuni problemi organizzativi. La famiglia non è stata in grado di reagire rinnovando ed adeguando la sua offerta nel settore in misura adeguata, le vendite complessive della società non sono più cresciute, i risultati economici si sono ridimensionati. Nel frattempo, nuovi concorrenti si profilano all’orizzonte.

Così, ad un certo punto, i membri della famiglia hanno deciso di ridurre il peso delle attività in cui c’era da confrontarsi tutti i giorni con il mercato e con la concorrenza e di trasformarsi invece sostanzialmente in rentier. Ecco allora l’acquisizione, secondo alcuni avvenuta a prezzi di favore, di Autostrade e di Autogrill dallo Stato, per di più scaricando i debiti fatti almeno per l’ acquisizione di Autostrade sulla stessa impresa acquistata, mentre verranno poi anche, con il tempo, le stazioni e gli aeroporti; ecco anche la partecipazione a molte avventure di interesse del potere politico da una parte, gli stretti legami con la fortezza Mediobanca dall’altra. (sulla storia e i conti di Autostrade, si veda anche l’articolo di Anna Donati su questo sito).

Oggi siamo davanti ad un gruppo di grandi dimensioni, molto articolato, ma anche altamente indebitato, mentre esso presenta una redditività complessiva piuttosto scarsa e mentre le sue sorti sono affidate, almeno in parte, alla benevolenza dei potenti di turno. La crisi di questi anni ha contribuito comunque a frenare i suoi volumi di attività e le sue prospettive.

La struttura societaria

Nel 2009 il gruppo Benetton ha fatturato in tutto circa 11,3 miliardi di euro a livello mondiale. Lo ha fatto attraverso un grande numero di società operanti in molti settori e in molti paesi, anche se le attività possono essere fatto risalire sostanzialmente a tre business.

La struttura societaria ha visto numerosi e anche radicali cambiamenti nel tempo, sia per l’ingresso e l’uscita quasi continui nel sistema di numerose imprese, sia per i mutamenti dettati dallo sviluppo stesso delle varie attività e anche da considerazioni di altro tipo, ad esempio mutamenti di strategia e anche “affinamenti” di tipo fiscale.

Essa vede oggi al primo livello di governo la capogruppo Edizione srl, controllata interamente dalla famiglia Benetton. Tale società, a sua volta, possiede dei pacchetti azionari di grande rilievo in un gran numero di altre entità, suddivisibili per comparti di attività:

1) nel settore del tessile-abbigliamento, il business storico della famiglia, troviamo in particolare il Benetton group, di cui Edizione srl possiede il 67,08% del capitale e che a sua volta da origine ad una miriade di società sparse per il mondo;

2) nel campo della ristorazione, la capogruppo controlla il 100% del capitale della società Schema 34 srl, che possiede poi il 59,28% di Autogrill, di nuovo con molte società del settore sotto il controllo di quest’ultima;

3) nel comparto delle infrastrutture e dei servizi per la mobilità, Edizione srl da origine a tre sottogruppi di società.

Essa detiene intanto il 79,06% del capitale di Sintonia sa, che controlla al 100% la società Schema 28 spa, che a sua volta possiede, insieme alla stessa Sintonia sa, il 38% del capitale di Atlantia spa; la Atlantia detiene a sua volta il 100% del capitale di Autostrade per l’Italia, nonché l’8,85% di Alitalia; infine, Autostrade per l’Italia possiede il 33% della IGLI spa – gli altri soci, il gruppo Ligresti e quello Gavio, detengono ciascuno una quota analoga-; la IGLI, a sua volta, controlla il 29,87% del capitale di Impregilo.

Sempre Sintonia sa controlla il 100% di Investimenti infrastrutture spa, che, insieme alla stessa Sintonia sa, possiede il 30,23% delle azioni di Gemina, al cui capitale partecipano anche, tra l’altro, con quote variabili, Mediobanca, il gruppo Ligresti, Assicurazioni Generali, Unicredit; Gemina detiene a sua volta il 95,76% del capitale di Aereoporti di Roma; Sintonia possiede poi ancora il 24,38% della Sagat, i cui azionisti di maggioranza sono gli enti locali piemontesi –Regione, Provincia e Comune di Torino- e che controlla le attività degli aereoporti di Torino e di Firenze;

Infine, infine Edizione srl detiene direttamente il 32,71% del capitale di Eurostazioni spa, partecipata con eguali quote anche dalla Pirelli & C. e dal gruppo Caltagirone; la Eurostazioni possiede poi il 40% di grandi Stazioni spa, mentre il restante 60% è controllato dalle Ferrovie dello Stato;

4) nel settore immobiliare e dell’agricoltura, la capogruppo ha in mano il 100% di Edizione Property spa, che detiene a sua volta il 100% di Maccarese spa, titolare poi del 100% del capitale di Cia de Terras Sud Argentino sa;

5) Edizione srl ha anche in bilancio una serie di altre partecipazioni molto preziose perché fanno parte, nella sostanza, del suo sistema di relazioni con il mondo della finanza e dell’imprenditoria nazionale, relazioni che sono essenziali al perseguimento dei suoi interessi e che ruota intorno al gruppo di potere organizzato intorno a Mediobanca; segnaliamo, in particolare, lo 0,945% del capitale di Assicurazioni Generali, il 2,16% della stessa Mediobanca, il 4,77% di Pirelli & C., il 5,7% di RCS, il 2% di Il Sole 24 Ore, il 2,24% di Caltagirone Editore, il 7,94% di Banca Leonardo; la società partecipa poi ovviamente ai vari patti di sindacato messi in piedi da Mediobanca per puntellare gli equilibri di potere delle varie entità;

6) in una categoria a parte possiamo inserire il pacchetto di controllo – con il 58,99% delle azioni- posseduto da Edizione srl nella di 21 Investimenti spa, una delle più importanti società europee di private equity, che è stata costituita a suo tempo da Alessandro Benetton, uno degli eredi, apparentemente il più dinamico, della dinastia familiare;

7) tralasciamo per brevità le società operanti nel settore sportivo.

Per completezza informativa, va ricordata l’avventura Telecom Italia. Nei primi anni del nuovo millennio i Benetton si inseriscono in misura importante nell’azione di conquista da parte di Tronchetti Provera del pacchetto di controllo della società telefonica. Ma il gruppo di intervento sarà obbligato nel 2007, di fronte alle difficoltà e ai pessimi risultati della sua gestione, a lasciare la presa e si dovrà ritirare riportando gravi perdite. Ricordiamo anche di sfuggita i tentativi, anch’essi poi abbandonati, di inserirsi nel settore delle attrezzature e dell’abbigliamento sportivo ed anche in quello della grande distribuzione.

Dati ed informazioni di base sul gruppo

Dunque il gruppo ha fatturato nel 2009 circa 11,3 miliardi. Tale importo si concentra intorno a tre poli di aggregazione, il Benetton Group, con circa 2,0 miliardi di euro di cifra d’affari nello stesso anno, il raggruppamento Atlantia con circa 3,6 miliardi e Autogrill con 5,7.

Dal punto di vista settoriale, il polo della ristorazione pesa per il 51,3% del fatturato totale, le infrastrutture e servizi per la mobilità per il 30,1%, il tessile-abbigliamento per il 17,7%; lo 0,9%, infine, fa riferimento ad attività residuali.

Sempre nel 2009, sul fronte della distribuzione geografica, il 50,6% dei ricavi del gruppo si collocano in Italia, il 27,4% nel resto d’Europa, il 16,8% nelle Americhe, il 5,2% residuo nel resto del mondo. Da questo punto di vista il gruppo appare fortemente concentrato sul nostro paese e, più in generale, sul nostro continente.

Per quanto riguarda la redditività complessiva, l’utile netto appare molto limitato nel 2008 e uguale a 196 milioni di euro, cifra pari all’1,7% del fatturato, per poi scendere ad appena 104 milioni nel 2009, lo 0,9% delle vendite. Per la verità, il reddito operativo della società appare abbastanza più sostenuto, collocandosi nel 2009 intorno ai 2,1 miliardi di euro, importo pari a quasi il 19% del fatturato; ma poi gli oneri finanziari pesano per circa il 6% della cifra d’affari e qualche punto ulteriore viene sottratto anche dalle perdite su partecipazioni, in parte strascichi dell’avventura Telecom. A questo punto, all’utile ante-imposte, ancora abbastanza importante nonostante tutto e pari a circa 1,2 miliardi di euro, bisogna sottrarre il carico fiscale, molto rilevante e pari al 5,5% del fatturato, nonché la quota di utile di pertinenza degli azionisti terzi, che si portano a casa 455 milioni di euro, ben più della famiglia e così alla fine l’utile netto scende alle dimensioni sopra ricordate.

Accanto alla limitata redditività bisogna ricordare, come sopra accennato, il molto alto livello dell’indebitamento complessivo. Esso appare sostanzialmente identico come importo alla fine del 2008 e del 2009 e pari a 14, 1 miliardi di euro, con un rapporto uguale al 173,0% rispetto ai mezzi propri, al 124,8% rispetto al fatturato del 2009, a 4,5 volte rispetto al reddito operativo prima degli ammortamenti (Ebitda), sempre per il 2009. L’esposizione appare fortemente concentrata in valori assoluti sul gruppo Atlantia ed essa è da mettere in gran parte in relazione con i debiti fatti a suo tempo per acquisire Autostrade per l’Italia, debiti poi scaricati sulla stessa società. Tale livello fa molta fatica a scendere nel tempo ed esso appare come una delle più serie ipoteche al futuro del gruppo.

Per la verità, c’era stato qualche anno fa il tentativo di sbarazzarsi del problema vendendo il settore autostradale agli spagnoli, ma la questione è stata portata avanti in maniera forse non brillante e si sono sviluppati dei problemi che hanno portato al fallimento del tentativo. Tra l’altro, i Benetton hanno cercato di vendere agli iberici senza aver portato avanti gli investimenti a suo tempo concordati col governo al momento della privatizzazione (Astone, 2009).

L’andamento dei principali business

Benetton. Dopo i rilevanti successi dei primi decenni, il marchio Benetton appare da molto tempo abbastanza in affanno. Così, intorno alla metà degli anni 2000 i bilanci hanno dovuto registrare delle perdite. Poi la situazione è migliorata, grazie anche ad interventi abbastanza decisi su molti fronti, da quello dell’organizzazione della rete di vendita a quello della riduzione dei costi degli approvvigionamenti, ma non si è veramente verificata la svolta netta che sembrava necessaria. Comunque, soprattutto sul mercato statunitense e sostanzialmente anche nei paesi europei, sia pure in misura più ridotta, l’azienda appare ancora in rilevante difficoltà e le vendite tendono a crescere, anche se lentamente, soltanto nei paesi emergenti, dove si sta portando avanti un importante allargamento della rete distributiva.

Guardando alle cifre degli ultimi cinque anni, appare evidente una sostanziale staticità di tutti gli indicatori. Il fatturato era pari nel 2005 a 1,8 miliardi di euro e nel 2009 ci si ritrova soltanto con un leggero incremento a 2,0 miliardi, mentre l’utile netto oscilla, di anno in anno, tra i 100 e i 155 milioni di euro –anche gli indici di redditività appaiono sostanzialmente costanti- e mentre il capitale netto è fermo dal 2005 ad oggi a 1,3/1,4 miliardi di euro. I dati di redditività del primo semestre del 2010 appaiono in discesa, mentre quelli di qualche concorrente come Inditex-Zara sono invece molto più incoraggianti.

Per completezza di informazione, si può ricordare che i ricavi suddivisi per area geografica registrano negli ultimi anni una percentuale del 47/48% sul totale per l’Italia, del 34/36% per il resto d’Europa, un risibile 3% per le Americhe ed un 17% per il resto del mondo.

Non si vede al momento come l’azienda possa uscire dal sostanziale impasse strategico in cui si trova. Significativamente, si parla da tempo di una possibile cessione del business, plausibilmente ad una delle tre grandi società del settore, la statunitense Gap, la spagnola Inditex-Zara, la svedese H&M; ma tale cessione sarebbe peraltro contrastata da una parte della famiglia.

Atlantia. Un concreto tentativo di cessione c’è stato qualche anno fa, come già accennato, per quanto riguarda invece il settore autostradale, ma esso è finito poi nel nulla. Le attività che fanno capo ad Atlantia spa, di cui la parte più significativa è costituita da Autostrade per l’Italia spa, presentavano complessivamente ricavi per 3,6 miliardi di euro nel 2009 contro i 3,5 del 2008. Il raggruppamento gestisce circa 3400 chilometri di autostrade nel nostro paese e circa 900 in quelli esteri. Per quanto riguarda questi ultimi, si tratta di concessioni ottenute in Cile, Polonia, Brasile, India –quattro concessioni, tre continenti-, apparentemente quindi senza un piano organico di penetrazione di specifici mercati, ma sfruttando le occasioni che si presentavano di volta in volta in giro per il mondo. Si ha una sensazione di grande dispersione degli sforzi.

Sul fronte economico, il settore sembra godere di un’elevata redditività –gli utili netti sono pari a circa 0,7 miliardi di euro sia nel 2008 che nel 2009, nonostante i rilevanti oneri finanziari che la gestione deve sopportare in relazione all’elevatissimo indebitamento cui abbiamo fatto cenno sopra; tali oneri sono e pari a ben il 13,9% dei ricavi nel 2008 e addirittura al 14,9% nel 2009.

La redditività sostenuta potrebbe presumibilmente essere legata a dei do ut des importanti con i pubblici poteri, essendo la fissazione delle tariffe e delle altre condizioni di sfruttamento delle concessioni in mano a questi ultimi. Questa possibilità sembra plausibile nel nostro paese, dove il gruppo Benetton appare sempre pronto a partecipare alle iniziative sponsorizzate dal governo –si veda ad esempio la vicenda Alitalia- e, nel settore finanziario, ad essere parte organica dell’asse Mediobanca-Generali, in cui appare sempre più ingombrante la presenza di Cesare Geronzi, il punto di collegamento tra Berlusconi e la finanza.

Autogrill. Neanche del raggruppamento Autogrill si può dire che esso navighi nell’oro.

Primo operatore al mondo per quanto riguarda i servizi di ristorazione e retail per chi viaggia, il suo fatturato per il 2009 è stato pari complessivamente a circa 5,7 miliardi, in leggera riduzione rispetto alle cifre dell’anno precedente. La rilevante diversificazione geografica e settoriale – le attività del raggruppamento si possono suddividere nei tre comparti della ristoraz one, del retail aeroportuale e della fornitura di servizi di catering a bordo degli aerei – hanno apparentemente permesso di limitare i danni in un settore che ha risentito abbastanza della crisi.

Il comparto della ristorazione appare quello più importante ed esso raggiunge nel 2009 il 64,5% del fatturato totale del settore. Le cifre disponibili indicano una diversificazione geografica molto ampia raggiunta con il tempo dal raggruppamento, partendo dalla sola base italiana.

I risultati economici non appaiono particolarmente brillanti, con un utile netto per il 2008 di 84 milioni di euro, pari all’1,4% del fatturato e di soli 37 milioni nel 2009, con un’incidenza sulla cifra d’affari pari allo 0,6%.

Il livello di indebitamento non appare elevato in valore assoluto come quello di Atlantia –esso si situa intorno ad 1,9 miliardi di euro alla fine del 2009, contro i 2,1 miliardi della fine dell’anno precedente-, ma esso risulta comunque rilevante se lo confrontiamo con i mezzi propri dell’azienda.

Conclusioni

Il gruppo Benetton ha subito già da parecchio tempo una grande mutazione genetica, trasformandosi da un’entità che operava su di un mercato competitivo in una invece almeno parzialmente legata al carro pubblico. Questa trasformazione, che ha comunque molto accresciuto le dimensioni complessive dello stesso gruppo, non ha però permesso di risolvere i problemi economici e finanziari precedenti, ma anzi ne ha creati di nuovi ed ha legato molto più di prima le sorti aziendali, almeno in parte, alla volontà di governi e di banche. Così oggi i vari business non presentano una situazione brillante sul piano strategico, economico e finanziario. In particolare il settore tessile-abbigliamento sembra avere problemi strategico-organizzativi, Atlantia invece soprattutto di tipo finanziario, mentre Autogrill si ritrova con una scarsa redditività ed anche di nuovo con problemi di indebitamento elevato. La crisi degli ultimi anni ha certamente contribuito ad accrescere le difficoltà di prospettiva di un gruppo in cui esse erano già prima presenti in misura rilevante. Può darsi che il ricambio generazionale, che dovrebbe toccare in maniera più decisa la famiglia Benetton nei prossimi anni, possa portare a qualche colpo d’ala che è difficile attendersi oggi da degli imprenditori forse troppo appesantiti dalle esperienze anche difficili incontrate su vari fronti negli ultimi decenni.

Testo citato nell’articolo

-Astone F., Gli affari di famiglia, Longanesi, Milano, 2009

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