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Costituzione, la controriforma di Renzi

Di fronte all’obiettivo – ampiamente condiviso nel paese – di uscire dal bicameralismo perfetto, Renzi, tra le molte soluzioni tecnicamente possibili, ne ha scelto una così gravemente contestabile

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Perché di fronte all’obiettivo – ampiamente condiviso nel paese – di uscire dal bicameralismo perfetto, conferendo la prerogativa dell’investitura governativa a una sola camera, Renzi, tra le molte soluzioni tecnicamente possibili, ne ha scelto una così gravemente contestabile, e contestata? La domanda non riguarda le intenzioni di Renzi, ma la logica dello sconcio costituzionale che sta per essere definitivamente approvato. Esso contiene tre elementi fondamentali, il ritorno a un accentramento del potere politico, la creazione di una seconda Camera con funzioni improprie e distorsive, una soppressione del carattere rappresentativo di un organo politico. Queste tre connesse operazioni vengono compiute nel modo meno lineare possibile, in modo da creare oscurità e confusione, e quindi il massimo di difficoltà a capire il merito della posta in gioco per i cittadini che saranno chiamati a pronunciarsi.

In primo luogo, la controriforma renziana riduce in modo molto forte le competenze delle Regioni, soprattutto in tema di politiche economiche e sociali; e non definisce in nessun modo né il baluardo della loro residua autonomia di scelta né lo strumento necessario ai loro compiti, ossia le fonti di finanziamento da attribuire loro in via istituzionale, lasciandole invece interamente all’arbitrio del governo. Al tempo stesso, però, nessuna modifica riguarda i punti cruciali dell’istituzione regionale che in questi anni, in generale, non ha certo brillato per efficienza, onestà, capacità progettuale: la configurazione dei suoi organi, con un assurdo presidenzialismo locale; le leggi elettorali fatte su misura delle contingenti prevalenze partitiche; la mancanza di ogni efficace modalità di controllo della spesa. Questo accentramento è coerente anche con una prassi di governo che avoca in continuazione alla Presidenza del consiglio compiti di decisione di pertinenza di vari ministeri; nomina commissioni ad hoc, con compiti giudiziali o consultivi, sui più diversi problemi; usa i prefetti – funzionari integerrimi, ma dipendenti dal governo – contro le amministrazioni locali elette.

In secondo luogo, queste regioni svuotate, ma non riformate, vanno a costituire, attraverso il proprio processo elettorale, il corpo politico del nuovo Senato, a cui sono attribuite funzioni di intervento nelle revisioni costituzionali, e nell’elezione di organi costituzionali di garanzia. In altre parole, la repubblica italiana è assai lontana da uno stato federale, ma attribuisce alla seconda Camera funzioni tipiche di quest’ultimo, in cui i Länder, o i cantoni, o gli stati dell’Unione sono le unità originarie dal cui patto nasce lo stato centrale, e perciò hanno funzioni costituzionali. Perciò gli eletti dei corpi politici federati che costituiscono la seconda Camera rappresentano, secondo diversi processi elettorali, un definito segmento di cittadini, a cui rispondono direttamente, o indirettamente: a uno specifico collegio elettorale, come negli Stati Uniti, o al governo parlamentare del Land, frutto di una legge elettorale proporzionale, come nel Bund tedesco.

Da chi sono eletti – in terzo luogo – e a chi rispondono i membri del previsto nuovo Senato italiano? Sono eletti dai cittadini con una scelta in cui si confonde la funzione di consigliere ragionale e quella di presumibile senatore, e poi sono nominati dal potere esecutivo della regione, a cui però non dovranno rispondere, perché non avranno vincoli di mandato. La risibile e penosa battaglia di una parte del PD per ottenere simile risultato, come se questo fosse un decente sostituto di un’elezione pulita, ha contribuito a oscurare il disegno complessivo della controriforma, in sé e nella sua connessione con la legge elettorale per la Camera dei deputati. Essa, a sua volta, magicamente trasforma una minoranza dei suffragi elettorali in sicura maggioranza per un governo, con un disprezzo per la rappresentatività del parlamento che non credo si fosse ancora vista. Se poi il governo così benedetto sarà quello che il governo attuale era sicuro di essere è tutto da scoprire: quando in un sistema oramai saldamente tripolare,e per il momento molto bilanciato, la scelta dei partiti che vanno al ballottaggio non dipende da una ragionevole soglia minima che può lasciare in corsa più di due liste, come in Francia, ma dalla casualità di un voto in più o in meno per tornare in gara al secondo turno, tutto può succedere.

Accentramento presso il potere esecutivo centrale, funzioni improprie o finte di organi con competenze costituzionali, svuotamento o distorsione del rapporto tra elettori ed eletti ammontano a uno smantellamento dell’equilibrio tra poteri che è parte integrante di qualsiasi costituzione. E su questo terreno è particolarmente preoccupante quanto le maggioranze previste per la nomina dei giudici costituzionali, pensate per un sistema politico dotato di legge elettorale proporzionale, perdano gran parte del proprio potere di tutela. Ogni costituzione ha infatti come funzione primaria quella di porre limiti precisi al potere legislativo cui il popolo sovrano si affida periodicamente; e i giudici costituzionali hanno il compito di difendere quei limiti. Se a questo si aggiunge che, come si è visto in occasione della controriforma e come si vedrà ancora di più se essa entrerà in vigore, il potere esecutivo controlla il legislativo e non viceversa, è lecito formulare l’ipotesi che ci stiamo avvicinando non già a un qualche peggioramento della Costituzione, bella o brutta che fosse, ma a un limite nei pressi del quale la carta non è più in grado di esercitare la sua funzione di dare forma e limite al monopolio del potere.

Si può comprendere attraverso queste considerazioni perché un problema che poteva essere consensualmente risolto sia diventato un tale oggetto di contesa: l’obbiettivo raggiunto, e non interessa se per intenzione, incompetenza tecnica, o semplice iattanza in contese meschine, va molto al di là di quel problema. Bisogna ricordare che questo obiettivo è la cristallizzazione di una lunga serie di attacchi alla Costituzione, cominciati negli anni ’80, proseguiti nella stagione berlusconiana, sostenuti in maniera irridente o felpata da più di un presunto custode della costituzione, approvati da una rilevante parte dei produttori di opinione pubblica nel centrosinistra. Senza che, tra chi a questo indirizzo era contrario, si formasse, oltre all’onorevole opposizione, anche una almeno implicita alternativa in positivo. La debolezza della risposta al progetto neogollista di Quagliariello nella Commissione voluta da Napolitano e Letta era già un segnale preoccupante. Il risultato che Renzi ottiene oggi è molto di più di quel progetto, e un danno è stato prodotto, anche se quel risultato gli fosse sottratto dal referendum. Senza formulare davanti ai cittadini, almeno sommariamente, una chiara alternativa, sarebbe impossibile dissipare la mistificazione che copre, e ancora più coprirà, la situazione costituzionale, o piuttosto a-costituzionale, che si prefigura.